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Libri - Crash Tv

Pubblicato il 22 settembre 2009 da Fabiana Proietti


Libri - Crash Tv

Non ha certo peli sulla lingua Carmine Castoro, autore di Crash TV, impietosa analisi del mondo televisivo in ogni sua espressione, dall’informazione ai reality show, passando per i serial e lo sport, calcio in primis. Una tv becera, che invece di educare – come la televisione degli anni ’50 e ’60, che tanti meriti ebbe nella diffusione lungo lo Stivale della lingua italiana, prima di allora coacervo di dialetti – diseduca, non solo con comportamenti e modelli negativi, ma anche allo stesso livello linguistico, tramite un continuo sfoggio di terminologie improprie, perifrasi appartenenti ai gerghi più bislacchi – pensiamo a quello giovanilistico di Mtv fatto di “bella lì”, “ci sto dentro”, “spacca di brutto” – che rimbalzano di programma in programma, dalla grammatica sempre più rimasticata, ricucita, slabbrata.
Crash TV è da questo punto di vista un libro ‘politico’. Un testo impegnato, programmaticamente scagliato contro questa televisione sciatta e volgare che ha invaso i nostri schermi, e che ha subìto negli ultimi anni una pericolosa accelerazione. Una televisione che per essere descritta necessita di nuove categorie, perché quella del trash non riesce più ad accogliere tutte le sfumature prodotte da questa dilatazione in negativo. E se il trash «sovraespone il particolare come elemento bruto, spontaneismo assoluto che non prelude a una totalità e per questo non suscita altro che riso (…) il crash invece impone subito il “totale”, il paradigma (…) e per questo non suscita altro che il sonnambulismo della ragione, l’ipnosi dello sguardo, l’emulazione rampante di un sistema con la soggezione al Sistema. Nel crash è il nostro Essere più profondo che diviene trash».

Se, dunque, il trash è una categoria estetica ancora esterna al nostro sentire, il crash di questa televisione malata ha interiorizzato il trash eleggendolo a modello e struttura. Tale discrimine semantico permette di comprendere come il libro di Castoro non sia affatto una critica superficiale al mondo televisivo, di quelle che compaiono in forme e misure differenti su quasi ogni blog, ma piuttosto un’attenta disamina effettuata con strumenti filosofici e sociologici, e con riferimenti che spaziano tra autori fondamentali come Jean Baudrillard, Marc Augé (l’ideatore del concetto di non-luogo, per intenderci), il Mario Perniola di Contro la comunicazione, e l’imprescindibile Guy Debord de La società dello spettacolo.
Lungo il vaglio delle diverse realtà televisive l’analisi cede di tanto in tanto il passo a toni apocalittici, in parte condivisibili per quel che riguarda gli effetti drammatici di simili programmi sulla quotidianità, ma che lasciano a volte l’impressione che, con meno livore, il messaggio arriverebbe in maniera più diretta, con maggiore asciuttezza, senza dover ogni volta lasciare al lettore il compito di districarsi tra l’oggettività del discorso filosofico – già di per sé complesso – e i rivoli di polemiche che ogni argomento pare trascinarsi dietro.
Pertanto risultano più efficaci le sezioni in cui si avverte un maggior distacco critico dell’autore dall’argomento trattato, come il capitolo VII, “Il Luminol batte Poirot”, dedicato all’inversione di tendenza dal metodo deduttivo di tanta letteratura gialla del passato all’induzione lanciata da CSI, e che trova eco nelle maldestre imprese dei nostri Ris (quelli veri, non gli emuli della fiction). Un capitolo che permette all’autore di spaziare fino a Michel Foucault e al suo saggio Nascita della clinica, distinguendo tra la categoria del Macabro e quella del Morboso, ricondotta alla concezione del crimine oggi, tra finzione e realtà.
Mentre più stanche appaiono certi paragrafi – come ad esempio "Le oscene conduzioni" - in cui, nonostante un memorabile incipit sillogistico, il discorso si perde nel racconto vagamente moralistico delle sceneggiate di Buona Domenica con i concorrenti del Grande Fratello o di quelle di Uomini e donne, per quanto il giudizio sul finto buonismo di Maria De Filippi, in realtà del tutto consapevole del proprio ruolo di «nume tutelare, marchio vivente , una “ministra” del sapere televisivo cui tutto è ricondotto, che tutto filtra, manipola e può azzerare (…)» sia pienamente condivisibile.
Occorrerebbe insomma raffreddare i toni, mostrare il nulla celato dietro l’immagine senza attingere mai a quei toni polemici dinanzi ai quali le signore della Tv – la già citata De Filippi, ma anche Simona Ventura, cui vengono indirizzate parecchie critiche - qui descritte come il nulla eletto a potenza mediatica, avrebbero a dire (come di solito fanno) che è solo invidia. Perché sarebbe davvero un peccato se la passione militante con cui il libro è scritto inficiasse un discorso lucido, coerente e, soprattutto, mai banale.

Crash TV, come si diceva tempo fa riguardo a L’invenzione della nostalgia di Emiliano Morreale, è un testo che andrebbe studiato nelle scuole, come applicazione della filosofia al mondo contemporaneo, ma soprattutto per insegnare alle nuove generazioni a guardare, a leggere le immagini che ci invadono quotidianamente, senza esserne più ostaggi inconsapevoli. Ma nel Paese che rifiuta l’insegnamento del cinema nelle scuole è forse chiedere troppo.


Autore: Carmine Castoro
Titolo: Crash TV. Filosofia dell’odio televisivo.
Editore: Coniglio Editore
Collana: Maxima Amoralia
Dati: 208 pp, brossura
Anno: 2009
Prezzo: 14.50 €
webinfo: Scheda libro sul sito Coniglio editore


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