LIMITE anticamera

LIMITE Anticamera, per la regia di Vincenzo Schino, all’interno del festival Teatri di Vetro, non è uno spettacolo, è la “tappa di un percorso”, che però supera l’ambizione che si era posto come obiettivo. Anticipa un’idea di spettacolo e pur essendo un frammento di quella che vuole farsi opera completa, ha tutte le caretteristiche di un prodotto artistico di grande suggestione. Lo spettatore si ritrova catapultato in una dimensione ancestrale, laddove la materia si fa parte integrante della rappresentazione. Terra, polvere, capelli, suoni, un dipinto di Gianluca Cetera che riporta ai graffiti dei primitivi, inquieando il pubblico, invadendo i pensieri, offuscati da ciò che gli occhi stanno vedendo. Tutto questo è lo spettacolo realizzato dal regista Vincenzo Schino, e portato in scena da Marta Banchisio, Riccardo Capozza. Si entra a spettacolo già iniziato, una donna che tiene in mano una bambola, la pettina... e poi è come se si fosse assuefatti da quell’ambiente e dalle musiche di Federico Dal Pozzo e dall’abbaiare di un cane. Si perde la cogbizione del tempo e dello spazio, anche se mille sono i pensieri che affiorano alla mente, è come se la memoria di ogni spettatore venisse solleticata da immagini apparentemente innoque, ma in realtà gravide di violenza, una violenza latente che non si avverte nell’immediato, ma che è capace di scavare nei meandri più profondi dell’io, andando ad invadere quella parte che nessuno vorrebbe mai fosse palesata, il punto più oscuro del proprio essere, che viene cosparso da immagini e suoni che scivolano come un torrente e dagli occhi raggiungono l’anima, catturandola per sempre. Fa male vedere ciò che si sta vedendo, e non si capisce neppure perché... come può una donna che pettina una bambola inquietare così tanto? Pettine che passa attraverso i capelli, immagine che si fonde con la lamentala di un cane, sembra di esser di fronte a qualcosa di mistico, che agisce pur non facendo capire come. Un volto coperto da una maschera logorata dal tempo, dalla vita, dalla sofferenza, una maschera che racconta la verità più di quanto possano fare gli occhi, una maschera che non nasconde un viso, ma ha piuttosto la funzione di rivelare un’anima. Qualcosa succede ed è qualcosa che riporta lontano, al tempo in cui è stato generato l’essere umano, un tempo sconosciuto, in cui non si sa con certezza cosa sia avvenuto realmente. Suoni ed elementi che fanno parte della vita, che si intrecciano con i pensieri del pubblico, che trascinano in un luogo dove nessuno vorrebbe trovarsi, faccia a faccia con la propria verità. Una gabbia, una sedia, il colore è uno soltanto, quello della ruggine che si forma sul ferro consumato, vita che si sgretola nei suoni, mangiata dal silenzio, nessuna parola, solo dolore urlato attravero le immagini. Lo spettatore non vorrebbe vedere ciò che sta vedendo eppure non riesce ad andar via per dei minuti dopo che tutto è finito, si resta seduti ancora un po’, increduli di ciò che si è visto, in realtà ognuno vorrebbe vedere ancora, ma tutto è colcuso, disciolto come un liquido e ciò che si ha davanti sono i resti di uno spettacolo non ancora finito, che ha fatto da anticamera ad un’opera che presto prenderà vita. Si esce con un senso di inquitudine e spaesamento, dubbiosi di esser ancora capaci di vivere così come prima di aver visto questa rappresentazione, tutto è cambiato e mettere di nuovo piede nella realtà diventa un trauma... Ci si portano dietro immagini difficili da spiegare, ma che arrivano dirette allo stomaco e si appropriano dei pensieri senza mai più abbandonarli. Tutto cambia dopo aver visto LIMITE, o forse sarebbe meglio dire dopo aver attraversato il limite, vivendolo come una parte integrante della propria vita.
(LIMITE anticamera); Regia: Vincenzo Schino; tecnica: Emiliano Austeri; suono: Federico Dal Pozzo; effetti plastici: Leonardo Cruciano ; organizzazione: Marco Betti; interpreti: (Marta Banchisio), ( Riccardo Capozza), (Gaetano Liberti); teatro e date spettacolo: Teatro Palladium, festival TEATRI DI VETRO
