Ma ma he qi tian de shi jian - Mama
Apparentemente riservata e introversa, Li Dongmei non avrebbe mai pensato di fare cinema – eppure è successo: il primo lungometraggio arriva quasi per caso e parla un idioma talmente semplice da risultare criptico. Mama è la storia di un lutto – quello subìto dalla regista stessa, orfana di madre a soli dodici anni. La pellicola, dichiaratamente autobiografica, si rinchiude in una sorta di mutismo dal quale riemergono i ricordi d’infanzia: il lavoro nei campi, la scuola, i giochi puerili con i compagni di classe, l’estate umida e afosa, le cene in famiglia. Tutto si consuma nel silenzio più assordante, i dialoghi si contano sulle dita di una mano e sono troppo scarni per appartenere alla realtà. Le distanze sono enormi e fra le persone s’aprono vuoti incolmabili: per raggiungere il paese più vicino, una Li Dongmei ancora giovanissima, qui nei panni della dodicenne Xiaoxian, deve camminare per ore. Il padre vive e lavora a chilometri di distanza. Dalla casa fatiscente non emerge alcun suono e lo squillo del telefono provoca una sensazione sgradevole. Dopo la prima mezz’ora, lo stridulo cigolio che circonda il paesaggio comincia a farsi insopportabile, l’ostinato frinire delle cicale sovrasta ogni inquadratura e ogni frammento di memoria, la sensazione è quella di precipitare lentamente in un incubo. Il fatto che l’autrice scelga di narrare parte della propria esistenza e che, per farlo, si munisca di attori non professionisti contribuisce a creare aspettative destinate ad essere deluse: gli individui appaiono più alienati di quanto probabilmente non siano, i singoli fotogrammi seguono una geometria fin troppo irritante nel proprio rigore. La precisione maniacale e allucinata con cui la regista illustra la morte della genitrice impedisce alle immagini di susseguirsi serenamente, trattenendole in un limbo ombroso. Non ci sono protagonisti né tantomeno comprimari, l’attenzione dell’obbiettivo si rivolge al tempo e allo spazio che precedono l’improvvisa scomparsa della madre: l’intenzione è quella di immergere lo spettatore nell’apatica routine della Cina più desolata, ma l’artificiosità e l’indolenza con cui i personaggi svolgono il proprio ruolo provoca un effetto a dir poco estraniante.
La quotidianità visibile al di là della cinepresa non possiede una sua concretezza, ma si perde in un universo sospeso fra sogno e veglia: per questo motivo, il film acquista credibilità solo nei rari momenti in cui decide di gettarsi nell’una o nell’altra dimensione. È come se all’intera opera non importasse nulla di noi, ma si ripiegasse su sé stessa nel tentativo di rielaborare esperienze e sensazioni che non sono le nostre, né mai lo diventeranno. Girato palesemente a posteriori, il lungometraggio prende forma sulle tracce di una perdita imminente e rifiuta qualsiasi tipo di immedesimazione che non sia strettamente personale. Al tema del lutto, poi, si aggiunge quello della colpa – nella specificità di un tale contesto, la colpa di essere donna. Questa terribile responsabilità grava sulle consuetudini come una coltre nera, trasformando l’ordinario in straordinario. Nella pellicola, l’uomo viene sempre ripreso in disparte: la verità di Li Dongmei è tutta al femminile, senza però esserne completamente consapevole. I gesti e i cenni che plasmano tanto l’abitudine giornaliera quanto il rito tradizionale non sono certo da inscriversi nella sfera maschile, eppure questa dominanza materiale e spirituale non viene mai rivendicata da nessuno. Attraverso il cinema, la regista cerca ossessivamente di ricostruire il proprio mondo: sul grande schermo, il padre di Xiaoxian si trasforma nel figlio che la madre dell’autrice, nella vita reale, non ha mai avuto. Ma si tratta, purtroppo, di una consolazione fuori tempo massimo. La ragazza si trova costretta a celebrare una dipartita troppo inconcepibile e troppo dolorosa per poter essere metabolizzata semplicemente attraverso una serie di ordini. E sono sempre braccia di uomini finora rimasti nell’ombra – braccia di nonni materni e paterni, di amici lontani e parenti semisconosciuti – a trascinare l’adolescente nella foresta, costringendola a porgere quell’estremo saluto rimasto poi sopito per anni.
(Mama); Regia: Li Dongmei; sceneggiatura: Li Dongmei; fotografia: Shen Xiaomin, Zhang Yalong; montaggio: Zhao Huifeng, Zhang Zhongchen; interpreti: Cheng Shuqiong (madre), Wang Xiaoping (padre), Ge Wendan (Xiaoxian), Xia Guoli (Xiaowei), Gong Yanxin (Xingxing), Tan Yuxiang (nonna materna), Ge Shidi (nonno materno), Shen Jihua (nonno paterno); produzione: Langli Film&Media; origine: Cina 2020; durata: 134’.