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Malick - Anche l’amore muore come tutto il resto

Pubblicato il 19 gennaio 2006 da Alessia Spagnoli


Malick - Anche l'amore muore come tutto il resto

“In questo mondo un uomo da solo non è niente: e non esiste un altro mondo”
Sean Penn “La Sottile Linea Rossa”

Quello di Malick è un cinema sospeso tra opposizioni forti. Un dato questo immediatamente percepibile fin dal piano stilistico: qui la fascinazione per gli spazi sconfinati coabita con un occhio sempre attento al dettaglio, mentre la natura intrinsecamente cronachistica delle sue storie viene raccontata in toni contemporaneamente distaccati e fiabeschi.
Ma se ogni cosa contiene il suo contrario, com’è possibile per l’uomo opporsi all’ineluttabilità di uno scontro che ha origine già in lui? Il Perturbante negli immensi Paradisi Perduti dell’autore texano è difatti, in maniera manifesta, l’Uomo stesso.
E fra tutti gli opposti, il maschile e il femminile costituiscono i poli che si attraggono più fortemente e il cui contatto provoca invariabilmente conseguenze fatali. I Giorni del Cielo da questo punto di vista presenta un epilogo speculare a quello de La Rabbia Giovane: i due amanti sono ormai braccati dalla legge a seguito di un crimine commesso dal ragazzo pur di vivere accanto alla donna che ama. Quel sentimento però in lei è già morto: è da qui, da questa constatazione che emerge la tragica inutilità di ogni gesto del protagonista, che sembra essersi dibattuto davanti ai nostri occhi unicamente per andare incontro alla sua spietata esecuzione.
Eppure questo romanticismo a 360° che si riverbera nelle pellicole dell’autore fin dal titolo è destinato a scontrarsi con i distorti sogni di grandezza dei suoi protagonisti, in nome dei quali essi finiscono per varcare cinicamente la linea d’ombra.
Ne La Sottile Linea Rossa il soldato Jack Bell (interpretato da Ben Chaplin) si interroga sulla provenienza dell’Amore analogamente a quanto andava facendo l’anonima voce narrante dell’altro marine intorno a quella del Male. Ed esiste una perfetta equivalenza tra quelle che paiono le due forze motrici del Mondo dipinto da Malick: un mondo che perde i suoi connotati reali e diviene una pura proiezione psicologica di quello interiore dei suoi personaggi. Ne La Rabbia Giovane la quindicenne Holly, strappata alla sua dimora di bambola e alla sua adolescenza dal suo ragazzo omicida, va a vivere insieme con lui in una casa su un albero, passando attraverso una serie di sconvolgenti accadimenti con un’identica disposizione orribilmente vacua.
Ma cos’è questa meravigliosa donna per la quale gli uomini perdono la tranquillità e la vita? Un miraggio, un’apparizione miracolosa o una cometa che attraversa brevemente il loro cielo, sembra suggerire la scena contenuta in Days of Heaven in cui il proprietario della fattoria la segue attraverso l’occhio di un cannocchiale. Per Kit immerso nell’immondizia e nel letame come Bill lo è nel carbone e nella terra, o il soldato Bell nel sangue, essa è un oggetto luminoso, misterioso e inafferrabile.
“Buio da Luce, Conflitto dall’Amore” sussurrava la voce over de La Sottile Linea Rossa nel finale: al bagliore angelico (luciferino) della donna corrisponde il cuore di tenebra dell’uomo.
Indicativo il modo in cui il grande cineasta texano filma scene d’intimità nella coppia, senza lasciar trapelare alcuna forma di erotismo: a significare che per lui non c’è compenetrazione possibile tra uomo e donna, così come non può esistere tra uomo e natura.
La compagna del protagonista è contemporaneamente una Madonna, Elena di Troia ed Eva, depositaria di concetti ancora una volta diametralmente distanti come quelli di salvezza e dannazione.
Per il soldato Bell la moglie rappresenta l’idea(le) di speranza: la sua stessa sopravvivenza è legata a lei. Così, quando la donna lo abbandona tramite una missiva di crudele concisione, lo vediamo barcollare per un attimo, perdere letteralmente l’equilibrio e guardarsi attorno sgomento: ormai è perso. Come Kit e Bill prima di lui si ritrova a centinaia di miglia di distanza da casa a dover lottare e a morire per niente. E allora la donna non è altri che il Dio che tradisce non tanto la fiducia, quanto una vera e propria Fede cieca ed incondizionata da parte del compagno, poiché ella racchiude per lui tutto quanto di più bello e sublime c’è nel mondo. Almeno fino all’ultimo The New World, che costituisce una vistosa eccezione alla regola: per Malick quella tra Pocahontas e John Smith è probabilmente la Madre di tutte le storie d’amore: due diversità, anzi, due veri e propri Mondi che entrano in contatto generando ancora una volta Amore e Morte. In quest’ultima pellicola compaiono però significativi ribaltamenti di prospettiva: qui è Pocahontas - dipinta come l’emblema stesso della purezza e della fedeltà imperitura - a salvare la vita del protagonista, piuttosto che a causarne la morte. Stavolta difatti è lei ad esser tradita da quello che le “sembrava un Dio” per il quale aveva rinnegato tutto: le origini, la famiglia, il nome e la vita stessa. Quando Smith la abbandona a sé stessa per dare ascolto ad un’altra voce altrettanto forte in lui è come se le spegnesse la scintilla che la teneva in vita. Scelta questa di nuovo organica alla poetica dell’autore, per il quale l’amore rappresenta la ferita più insanabile che gli esseri umani sono in grado di prodursi tra loro e dalla quale non si guarisce più.
Non desta meraviglia, tuttavia, constatare come anche i sentimenti possano mutare corso in un cinema che suggerisce un divenire perpetuo, in cui la mdp stessa non conosce mai posa e persino l’interiorità dei personaggi viene colta in fieri, attraverso la voce over del flusso di coscienza con cui il regista cerca di dare forma e sostanza anche al pensiero.
Come Kubrick, cineasta cui viene spesso accostato anche (ma non solo) per magnificarne la grandezza e l’unicità dell’opera, Malick cerca di scandagliare l’insondabile: la psiche umana e le sue innumerevoli contraddizioni.
Finchè l’amore dura esso è l’esile filo rosso che accompagna l’uomo e lo sostiene persino nelle sue azioni più sanguinarie. Ma non appena si esaurisce non gli rimane che la morte. Kit, Bill, Jack, non hanno nient’altro cui aggrapparsi quando decidono di imbarcarsi nei loro lunghi viaggi senza ritorno: come novelli Ulisse affrontano le prove più ardue e sfiancanti pur di tornare dalla loro Penelope. Attraverso itinerari interminabili, lungo fiumi o strade, poco importa: l’essenziale è che tutto scorre via, tutto passa. E’ un pensiero ricolmo di malinconia e al contempo un’immagine che rapisce per la sua intima bellezza. E’ il segreto del fascino del cinema di Malick, che prosegue ben al di là della parola “fine” sullo schermo.


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