X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Marlene Kuntz: La poesia della scienza

Pubblicato il 21 ottobre 2013 da Valeria Gaveglia


Marlene Kuntz: La poesia della scienza

Roma- Palladium (Ventottesima edizione del Romaeuropa Festival). Quella che ha ospitato il teatro Palladium all’interno del Romaeuropa Festival è una suggestiva commistione di musica e immagini, il risultato di una sorprendente ed efficace fusione tra i documentari scientifici di Jean Painlevé e la performance musicale dei Marlene Kuntz.
Cinque film documentario, scelti e montati da Stefano Boni e Grazia Paganelli, stuzzicano il pubblico attraverso l’inusuale analisi della vita dell’infinitamente piccolo. Painlevé, a partire dalla prima metà del Novecento, partecipò attivamente al movimento d’avanguardia cinematografica dedicandosi poi alla cinematografia scientifica. Hyas et Steroniques (1929); Les Oursins (1929); Comment naissent les méduses (1960); Transition de phase dans les cristaux liquides e L’Hippocampe (1934): questi i titoli che hanno accompagnato gli spettatori nella scoperta di un mondo nuovo e inaspettato, catapultandoli su una dimensione parallela in cui è difficile distinguere una medusa da una macchia di inchiostro e l’ombra di un ippocampo dal profilo di un volatile. Ogni film, della durata di dieci minuti circa, affrontava temi rigorosamente di natura scientifica con scene accompagnate da didascalie esplicative. Eppure quello che abbiamo avuto di fronte, malgrado le caratteristiche di un ordinario documentario, si è rivelato molto di più: un’opera d’arte dal grande potere evocativo.
A connotare come prodotto artistico il lavoro di Painlevé è la sapienza con cui l’analisi al microscopio dei suoi soggetti (crostacei, meduse, ippocampi, sostanze liquide e materiali solidi) risulta essere spunto di riflessione e di emozioni. Elemento ricorrente è l’acqua: i soggetti delle riprese si muovono all’interno di essa, fluttuano e si dimenano, vivono e sopravvivono grazie all’elemento che rappresenta la fonte di vita primaria. L’acqua rimanda all’origine della vita sulla terra e l’uomo, cosciente di ciò, si sente attratto da essa come se potesse svelargli il mistero dell’esistenza, come se il segreto della vita fosse scritto nell’elemento che l’ha generata. Riconoscersi e fondersi con l’opera d’arte significa averne compreso a pieno il significato e per quanto concerne l’opera di Painlevé la riuscita dell’intento è assicurata. Gli effetti di accelerazione e rallentamento, con cui il regista francese ha reso i suoi soggetti, erano già stati pensati per un accompagnamento di tipo musicale e le melodie dei Marlene Kuntz hanno saputo e potuto rendere giustizia a tale progetto. Sulla scena la chitarra di Cristiano Godano, la batteria di Luca Bergia e il basso di Riccardo Tesio. Il pubblico non sa se focalizzare la propria attenzione sulle immagini filmiche o su quelle reali, sulla suggestione, dai tratti psichedelici, dettata dai documentari o sull’alternative rock, che ha inondato la platea per cinquantacinque minuti di abbandono alla Poesia della Scienza. Abituati al binomio musica-parole quello musica-immagini ci può lasciare meravigliati, tuttavia se è la forma del linguaggio a cambiare ma il messaggio che giunge allo spettatore rimante chiaro e definito il problema non si pone. In una trovata come quella di Peinlevé il segreto sta nel rendere l’armonia del tutto attraverso la sapiente unione delle parti: i suoi documentari accompagnati dall’abile interpretazione dei Marlene Kuntz ne sono stati un magistrale esempio.


Enregistrer au format PDF