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Memoria dello studio per le Serve

Pubblicato il 27 maggio 2009 da Valentina Casadei


Memoria dello studio per le Serve

Atelier Meta-teatro, Roma-"Senza sapere di preciso che cosa sia il teatro, so quel che gli nego d’essere: la descrizione di gesti quotidiani vista dall’esterno" (Jean Genet) Così recitava l’esergo alla "Prima comunicazione per Le serve", presentazione del neonato gruppo dei Marcido, dichiarazione di intenti della compagnia, quando, in una mansarda di via Berthollet, Torino, nel 1985, iniziava la sua personale lotta ai margini del teatro partendo da Genet, dall’irruenza sconvolgente della parola che descrive la vita allontanandosene.

Ritornano Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa a Genet, oggi, venticinque anni dopo l’avvio del lavoro, con Memoria per lo Studio delle Serve recuperando la loro partitura perfetta, quella "inflessibile determinazione coreografico/vocale che ne reggeva lo scheletro" (come scrive Marco Isidori nella Minicronaca che presenta l’operazione), ripescandola nei magazzini di una memoria che per esser tale va rimembrata. Ritornano occupando uno spazio, quello del Meta-teatro, che significamente si nasconde nel ventre di un palazzo, e richiama alla mente quei primi esperimenti teatrali che sconvolsero la quotidianità condominiale delle soffitte torinesi che li accolsero più di vent’anni or sono.

È in questo spazio intimo e ristretto, dove a pochi passi "i gesti quotidiani visti dall’esterno" son percepibili da ogni finestra sul cortile, che i Marcido compiono la loro "danza di guerra", riprendendo il filo di un discorso mai interrotto, di una comunicazione aldilà del quotidiano che riscopre le sue origini, già pregne di quelle peculiarità artistiche che la rendono un unicum nella realtà teatrale italiana. Ritorna ad occupare la scena la piattaforma lignea di Daniela Dal Cin e ritorna prigioniera della sua area la presenza scenica di Maria Luisa Abate, accompagnata questa volta da Paolo Oricco(invece di Lauretta Dal Cin), presenza ormai stabile nel gruppo, elemento di raccordo tra la memoria storica e il presente per il quale essa si fa memento, quasi fosse, ciò che è sul palco, uno specchio di ciò che si vede in sala, spettatori di ora come allora insieme a giovanissimi affezionati o curiosi attratti per caso.

Presente e passato si incontrano allora pronti a scoprire e riscoprire la forza di una comunicazione che aggredisce a tutti i livelli lo spettatore: la parola rivela il suo significato, in quel destabilizzante gioco delle parti intessuto da Genet, comunicandosi attraverso il susseguirsi delle lettere in suoni che la significano, articolati in una metrica deformante, posseduti dal ritmo e dall’ intensità dell’emissione vocale degli interpreti e dalle loro azioni, contrazioni di nervi, che ulteriormente arricchiscono il complesso gioco dei significati. È una comunicazione in cui ogni oggetto si fa portatore di senso e concreto stimolatore dei sensi: la lampadina che oscillando illumina e nasconde, soprattutto creatrice di ombre, zone oscure ed è supporto del gioco d’attore; la piattaforma che non solo delimita, ma costringe l’azione dell’attore, rendendola tutt’altro che statica, seppur privata dello spazio del movimento. Ed è la piattaforma stessa il sostegno per "l’intestino di perle che fuoriesce dal ventre di Solange" che si dispiega attorno a Maria Luisa Abate, come un abito regale che incatena e trattiene, primo tra le sofisticate macchine sceniche a venire dei Marcido, uniche per il loro accordo perfetto tra splendore della visione e necessità per l’azione.

Rivive così ancora una volta una performance che segnò la nascita di un fenomeno oggi consolidato, ma che dovette lottare per divenire tale, e si ripropone con la nostalgia di chi guarda indietro e la forza di chi parla del presente guardando al futuro. Lo Studio per le Serve rinnova la sua memoria, la arricchisce vivificandola, nel breve splendore di un lampo, pochi istanti di forza che abbagliano, e con il fragore del suo tuono, rompe il silenzio che rischia di farsi oblio.


Memoria dello Studio per le Serve da Jean Genet Regia: Marco Isidori; Interpreti: Maria Luisa Abate (Solange), Paolo Oricco (Chiara); Scene e costumi: Daniela Dal Cin.


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