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MOTUS: L’OSPITE

Pubblicato il 7 marzo 2005 da Leonardo Gliatta


MOTUS: L'OSPITE

Il ritorno dei Motus al teatro Vascello è salutato ormai come un evento per la stagione teatrale romana, un appuntamento che è diventato l’attesa di nuove visioni, come se al gruppo fosse stata delegata dal pubblico una facoltà sciamanica, quella di decifrare i segni del reale attraverso un’opera polisemantica, un discorso di senso compiuto che abbraccia letteratura, teatro, pittura, cinema e musica, in una tensione assolutamente politica. All’estero riempiono i teatri, la critica italiana si preoccupa di trovarli troppo modaioli, ma il loro linguaggio è poco “enrooted” nella tradizione italiana e molto più aperto alla visionarietà anglosassone che agli asfittici fremori nostrani. L’Ospite nasce da un lungo viaggio, durato due anni: un viaggio fisico nel deserto del Sahara e un viaggio onirico tra le parole e gli appunti di Pasolini. Dopo l’immersione nella contemporaneità allucinatoria e cyberpunk dell’universo di Ballard, Don De Lillo e Bret Easton Ellis, i Motus riscoprono Pasolini attraverso Teorema e il profetico, apocalittico Petrolio, sguardo lucido, impietoso sullo “stato delle cose” della civiltà occidentale. E il discorso teatrale non può non assumere le sfumature e i connotati peculiari dell’ultima storia d’Italia, quella stragista, quella dei funerali di Stato, dei misteri fin troppo svelati. Anche in questo spettacolo i Motus lavorano per sottrazione da tutto il materiale scenico che viene accumulato in un’orgia visiva e sonora, per arrivare all’essenzialità, la linea incandescente dell’orizzonte desertico. Al gusto barocco e viscerale di Catrame (1996) ed Orlando Furioso (1998), si è andato pian piano sostituendo un linguaggio più stilizzato, affascinato dalle linee semplici, da un minimalismo razionale che, seppur procede su più piani di azione, come le parole di Pasolini (testuali sui teloni semitrasparenti, registrate dalla viva voce del poeta) o il falsopiano iperrealista del grande trittico cinetico, rivela in ogni istante l’esigenza della scena pura, sgombra. Lascia stupefatti il lavoro su più livelli, lo sfondo del trittico piccolo borghese di una villa con giardino, mamma, papà, figlio, figlia, cameriera e cane che dialogano con i loro simulacri reali in scena, un soundscape onnipresente, parte integrante ed evolutiva del racconto scenico, i videoappunti di viaggio, un’esplorazione in automobile delle periferie napoletane e romane, la malinconica nebbia senza suono coi filari di pioppi della bassa Pianura Padana (oggetto già di una videoperformance all’ultimo Romaeuropa 2004). Dopo che i personaggi sono stati presentati dalle voci degli attori che raccontano la loro ricerca per interpretarli, e aver introdotto lo spettatore al gruppo di famiglia in un interno, prende forma l’Ospite, l’angelo sterminatore senza nome che arriva a demolire, con un atto realmente rivoluzionario, le fondamenta della morale borghese. Il grimaldello con cui scardina la fede nel consumismo capitalistico è l’erotismo, e la gioia sacra del sesso diventa, nella prospettiva pasoliniana, il motore che inverte il senso della storia, trasformando il businessman capo di famiglia, che ha sempre posseduto nella sua vita, nell’oggetto passivo del possesso. I Motus recuperano questo messaggio salvifico della lezione pasoliniana, adombrando gli schematismi ideologici di lotta di classe che appartengono alla decade di piombo degli anni settanta. La figura poetica della cameriera, infatti, attorno a cui ruotava il film Teorema (anche grazie alla superba interpretazione di Laura Betti), l’unica che non riceve il dono messianico del contatto col sacro, perché la sua condizione sociale la eleva tramite la sofferenza, è emblematicamente avvolta in un velo nero, di spalle allo spettatore, chiusa nella sua integrità di classe, mentre gli altri membri della famiglia giacciono inermi, schiacciati dal peso del passaggio del soffio vitale. Il sacro come scandalo, che erompe e distrugge e lascia dietro di sé una coscienza rinnovata provoca il corto circuito tra il prima e il dopo, la schizofrenia che si traduce in strage di Stato. L’anticlimax sopraggiunge insinuandosi, attraverso la lenta sinfonia delle dune di sabbia, unico paesaggio umano che ospita il silenzio delle immagini, la negazione della storia.

[marzo 2005]

Dal romanzo Teorema di P.P. Pasolini; regia: Enrico Casagrande e Daniela Nicolò; interpreti: Catia Dalla Muta, Dany Greggio, Franck Provvedi, Daniele Quadrelli, Caterina Silva, Emanuela Villagrossi; riprese: Simona Diacci, Daniela Nicolò; costumi: Ennio Capasa per Costume National; produzione: Motus e Théâtre National de Bretagne, Rennes; in scena: Teatro Vascello dal 18 al 20 marzo


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