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’NA SPECIE DE CADAVERE LUNGHISSIMO

Pubblicato il 7 aprile 2005 da Leonardo Gliatta


'NA SPECIE DE CADAVERE LUNGHISSIMO

In attesa che qualcuno, qualche penna illuminata, scriva presto un saggio sull’attuale, incredibile florilegio di piéce ispirate dallo spettro pasoliniano, che ci spieghi il perché di questo eterno ritorno al Molok italiano senza incappare nei luoghi comuni dei nostri tempi pericolosamente violenti, proverò a porre anch’io delle domande in calce a questo ‘Na specie de cadavere lunghissimo.
La straordinaria capacità predittiva e l’occhio estremamente lucido di PPP mostrano solo a trent’anni di distanza il segno evidente delle verità che egli andava predicando nel deserto.
Riconoscere oggi il merito di una statura morale ancora ineguagliata e rendere tangibili al pubblico dei teatri i suoi scritti corsari, le sue lettere luterane, è un segno che i conti non sono ancora chiusi, che la sua figura rimane ancora irrisolta.
Al di là di una rilettura di un testo, un suo scritto (tanto in voga in queste stagioni), Giuseppe Bertolucci e Fabrizio Gifuni ricostruiscono l’idea di Pasolini uomo che collide con l’idea di Pasolini intellettuale. L’urgenza di questa soluzione drammaturgia nasce dal desiderio di inventare una lingua pasoliniana che crepiti e scoppietti dal cozzare di voci, stili, metriche e deliri dal tratto vistosamente opposto.
Lo spettacolo si costruisce in termini di opposizione, il poeta viene indagato nel suo Mistero attraverso le antinomie che lo contraddistinguono: in chiave psicanalitica di padre e figlio, in chiave antropologica di natura e cultura, in chiave politico-religiosa di vittima e carnefice.
Gifuni incarna nell’unità del suo corpo la dissociazione di Pasolini: nella prima parte parla attraverso le sue parole, intrattiene il pubblico seduto ai tavoli di un bar predicando le sue verità messianiche; nella seconda parte, a sorpresa, si veste dei panni borghesi del suo assassino. Così la prosa polemica degli Scritti Corsari si interrompe coi suoi versi in friulano di Casarsa, ai quali poi fa seguire gli endecasillabi inediti di Giorgio Somalvico, il quale si inventa in un romanesco da Accattone il delirio di Pino Pelosi, in giro per le strade di Roma e di Ostia, dopo l’omicidio. Il vagabondare dell’assassino, che veste i panni borghesi pur essendo un “borgataro”, un “ragazzo di vita” è il gran girare a vuoto della mente sconvolta del poeta, sospesa tra la sua ansia continua di morte e il suo anelito disperato di salvezza.
L’idea di ricreare e reinventarsi l’identità di Pasolini, che è agnello del sacrificio ma allo stesso tempo carnefice del suo stesso assassino, a cui ha chiesto la morte, diventa la spiegazione del teorema culturale espresso nella prima parte del monologo. La catastrofe umana di un’Italia sottratta ai suoi valori secolari in nome del nuovo Potere laico e consumistico si esemplifica sotto i nostri occhi nella trasformazione dei suoi amati “Riccetti”, da simpatici malandrini in feroci assassini.
Gifuni regala un’interpretazione difficile ai massimi livelli, mostra sulla sua pelle lo scontro, l’agone tragico tra due diverse coscienze che recuperano attraverso l’invenzione letteraria l’unità.


da un’idea di: Fabrizio Gifuni; regia: Giuseppe Bertolucci materiali drammaturgici: Scritti Corsari, Lettere luterane, Siamo tutti in pericolo, La nuova forma della meglio gioventù, Abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo di Giorgio Somalvico; con: Fabrizio Gifuni; disegno luci: Cesare Accetta; produzione: Teatro delle Briciole, Fondazione Culturale Edison, Mercadante Teatro Stabile di Napoli - Progetto Petrolio, CinemaZero di Pordenone.

in scena: Teatro India di Roma dal 12 al 16 aprile ore 22:00, 17 aprile ore 20:00


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