Nella tana del Bianconiglio: Rabbit Hole

E’ una vita perfetta quella della famiglia Corbett. Perfetta, perché felice.
Felice fino al giorno del destino in cui un ragazzo in auto, forse superando di poco il limite di velocità consentito per guidare in città, investe il piccolo Denny.
Tutto improvvisamente si spezza, lasciando per terra i cocci di Becca (Nicole Kidman) e Howie (Aaron Eckhart), genitori del bambino, che cercheranno in nome del loro amore di recuperare il recuperabile nella continua e quotidiana sfida della vita che ogni giorno, dal sorgere del sole al suo riapparire in cielo, sembra non far altro che ricordare prepotentemente la morte del loro più grande amore.
Dai volti intensi e dalla telecamera fissa a lungo sulle singole espressioni cariche di significato e di parole non dette, Rabbit Hole si colora di toni cupi e profondamente drammatici.
E’ una pesantezza inquietante quella che cala nella casa dei protagonisti e che trova in lui un tentativo di difesa e di contrattacco e in lei un’anima talmente lesa e fragile da non opporle alcuna resistenza.
Tutto si gioca alla luce della comprensione della famiglia, una comprensione che, anche se sentita e sincera, non colmerà mai l’abissale vuoto che Rebecca percepisce dentro di sé e che sembra non lasciar spazio ad alcuna parola di speranza.
Quello che è certo è che Howie “ama moltissimo sua moglie” e, nonostante il grande periodo di crisi, non solo individuale, ma anche e soprattutto di coppia, capisce che la tenerezza e la comprensione trovata per breve tempo nell’amica Gabby (Sandra Oh), non gli restituirà la figura di una donna, la sua donna, pronta a riamare e a riamarlo. La forza dell’essere adulti emerge dal guardare in faccia la realtà dei fatti e dall’affrontarla fermandosi un attimo prima dell’errore? Forse sì, forse no, forse non abbastanza.
E allo stesso modo Becca interagisce con il giovane Jason (Miles Teller), nolente e sinceramente scosso uccisore del piccolo Denny, pensando di trovare una maggiore pace all’interno del proprio io. Ma quando il dolore riaffiora nonostante i chiarimenti con lancinanti fitte di pianto, sempre Becca si rende conto di dover cercare solo dentro i propri più stretti affetti il coraggio di guardare al domani.
Pesante. Pesante l’atmosfera che si respira; pesante, pur se giustamente realistica, la scelta di sviscerare il dramma con crudezza e di mostrare il difficile, quasi impossibile, riadattamento alla vita del mondo. Pesante, anche se psicologicamente più che comprensibile, la durezza di lei che di fronte alle attenzioni del marito e alla sua mano tesa verso la riscoperta, anche sessuale, reciproca, non si lascia piacevolmente sedurre o intimamente coinvolgere da un uomo il quale, pur nella sofferenza più assoluta, tenta di ricostruire faticosamente ciò che è stato distrutto.
E’ una Nicole Kidman nominata all’oscar come “Migliore Attrice” quella che ci viene tragicamente presentata dal regista John Cameron Mitchell; e ad essere veramente sinceri, nonostante la gravezza della storia e di conseguenza dell’intera pellicola, è una Nicole Kidman che merita indubbiamente l’oscar per la resa così viscerale, spontanea e concretamente tangibile del dolore. Un dolore che si impone come vero primo attore del film. Un dolore che, proprio perché immenso ed incommensurabile, non potrebbe non portare ad un effetto di straniamento per la sua temeraria crudeltà. Ed è questo il messaggio che viene iniettato sotto pelle allo spettatore: “la tana del Bianconiglio” (per l’appunto, Rabbit Hole) richiama la caduta di “Alice nel paese delle meraviglie” in un mondo straordinario, nel senso più strettamente etimologico del termine: “extra –ordinario”, e sconosciuto, dove accadono eventi impossibili e dove può avvenire anche l’esperienza, surreale perché impensabile, di un lutto, che fa sentire chiunque ne sia coinvolto uno straniero in terra straniera.
La tana in cui si china la testa come uno struzzo, pur di non vedere la realtà, è la gabbia di ricordi e ragnatele dalla quale con tanta difficoltà bisognerà rialzare gli occhi facendoli gradualmente e nuovamente abituare alla luce del giorno.
