Non lo so

Non lo so è un piccolo film italiano che mostra l’ansia di un presente giovanile complicato e difficile da piegare ai propri desideri. Lo hanno realizzato due fratelli di trendadue e ventotto anni: Alessandro e Cristiano De Felice, con entusiasmo, energia e più di un merito. Cercando qualche titolo di riferimento, nell’approcciare questo film casareccio, vivido e ruspante, ci vengono in mente La guerra degli Antò, Paz, I basilischi, Ovo sodo, Tutto l’amore che c’è e soprattutto Lavorare con lentezza, tanato inequivocabilmente sulla maglietta verde di un barista del film. Alessandro e Cristiano De Felice lavorano da anni sulla scrittura cinematografica e teatrale, e sul loro curriculum è possibile leggere anni di esperienza in laboratori e scuole di teatro. Da un po’ di tempo hanno deciso di lavorare insieme e Non lo so è (finora) il frutto maggiore della loro collaborazione artistica. Il film è stato co-prodotto da Gianluca Arcopinto, entrato in corsa nel progetto e a tutt’oggi in buoni rapporti collaborativi con i due fratelli di origine abruzzese. C’è parecchia autobiografia in questo scorrevole lavoro di 74 minuti, sintetizzabile nella descrizione di un universo giovanile ancora capace di pensare costruttivo, di criticare il sistema e l’organizzazione mentale del paese, con una generale rassegnazione mista a voglia di vivere e capire. La strada del film è quella della commedia intelligente, realisticamente giovanilistica, socio esistenziale, nervosa e sopportabilmente amara. Non lo so è un film che racconta, con qualche clip di troppo e con qualche momento di eccessiva ambizione filosofica infilato in mezzo tanti altri più genuini e utili, i nostri anni di precariato professionale, esistenziale e sentimentale. Si parte dall’inizio degli anni ’80, con qualche citazione scolastica (paninari, socialisti, Dc, e trionfo italico nella mitica notte madrilena) e la conferma di come quel decennio ormai, stia entrando in una fase cinematografabile (pensiamo a Notte prima degli esami e ad Aspettando il sole). Da subito il linguaggio dei due autori (anche protagonisti del film) cerca agilità e ritmo, con un montaggio pimpante e vivo. Poi si salta ai giorni nostri, attraverso due piccoli mondi distanti tra loro qualche centinaio di chilometri: da una parte la Bologna degli studenti meridionali fuori sede, ognuno con la sua cultura d’appartenenza infilata nei cassetti del comò e sopra i muri della stanza, con gli stati d’animo di un quotidiano instabile di esami, ricette regionali e coinquilini mitici. E dall’altra parte le sicurezze, gli immobilismi e le insopportabilità della moderna provincia italiana, anzi, della provincia della provincia, di un paesino, cioè, vicino Pescara, fissato tra le montagne e il mare, in cui le vecchie case sono state aggredite da quelle nuove e fredde, di una pietra non più locale, con i repellenti infissi di alluminio allotizzato e i soliti personaggi stravaganti e strampalati che fanno simpatia. L’abruzzo ibrido del film ci ricorda quello di Liberi (Gianluca Maria Tavarelli) e quello de Il posto dell’anima (Riccardo Milani) e i suoi ragazzi sono una fetta della nostra gioventù, forse non la migliore, ma di sicuro neanche la peggiore, anzi. Sono ragazzi, anche se non più ragazzini e non più ventenni, che fanno il punto della loro situazione. Qualcuno ha una laurea e qualcuno non ce l’ha perché ha preferito lavorare, o perché ha provato a scegliere la libertà ed ha inciampato in più di una circostanza. Il film è tacciabile di bamboccismo colto e cosciente ma questa definizione ci sembra riduttiva ed offensiva per un film sentito e artigianale che racconta ciò che pensa e sente vivo: con i pregi e i difetti di ogni pensiero autentico. Per ciò preferiamo parlare di una sincerità e di un realismo rustico e rock che fanno del film un leggero e non impreciso documento sul presente. E’ il ritratto di una parte di generazione venuta su con la tv, col gioco sempre a portata di mano (calcio, feste, nottate in giro) e passioni musicali varie (Bandabardò, Marlene Kunz e via dicendo). E’ un tipo di descrizione che non riguarda solo un universo spaziale, la provincia, ma anche uno temporale: i nostri anni in cui (lo dice piuttosto bene il monologo finale del film) è difficile avere certezze ed idee chiare e ci può essere più libertà in un lavoro da meccanico che in uno da avvocato. Considerazione accettabile, che evita il qualunquismo perchè figlia di un immersione nel presente che ogni trentenne contemporaneo può capire. Le distanze spaziali (e quindi culturali) si sono accorciate e tra il minuscolo paese abruzzese e il capoluogo emiliano, (come quello laziale o quello lombardo) non c’è più un’irrisolvibile differenza. I ragazzi del film (quattro amici che si ritrovano nella piccola località abruzzese dopo anni di esperienze indipendenti) vestono come altri coetanei piemontesi, veneti, partenopei, romani. Se hanno la barba incolta e i capelli ancora lunghi, quasi rasta, è perché si pongono in un certo modo nei confronti della società e delle sue regole. Nel film leggiamo la nostalgia per un tempo passato (il desiderio di stare insieme, il rifiuto delle omologazioni, la condivisione di uno spazio anarchico, l’amore per una sana ribellione e per l’ascolto della propria interiorità) e la paura di crescere (dovuta sia ad una accresciuta possibilità di scartare le responsabilità, e sia agli oggettivi ostacoli che l’esterno impone ai ragazzi di oggi, costretti o liberamente desiderosi di fare il salto e diventare adulti). La cosa più importante di Non lo so, film in cui la colonna sonora entra con troppa decisione dentro al film, ed in cui non tutti i passaggi narrativi risultano godibili, è la capacità dei due registi di raccontare il loro stato d’animo, ed il loro viaggio dentro il nostro tempo. Il film sembra sano nella sua semplicità e le interpretazioni degli attori (specialmente quelle dei due fratelli De Felice) è davvero buona. Qualche volta si sente un’eccessiva scrittura dei dialoghi e un certo compiacimento nella descrizione del proprio precarariato. Il fatto, però, è che i registi mettono in scena una condizione paradigmatica e i loro concetti, già sentiti molte volte, sintetizzano uno stato mentale collettivo generale. Non lo so è un esperimento autofinanziato il cui scopo principale era fare esercizio e mettere a fuoco intenzioni e desideri. Il film non solo ci riesce, ma a conti fatti, risulta persino godibile nella sua artigianalità.
(Non lo so); Regia, Sceneggiatura, Montaggio ed interpreti: Alessandro e Cristiano Di Felice: Fotografia: Piero Panzone, Produzione: Alessandro Di Felice, Cristiano Di Felice per Ròfilm, La Fabbrichetta, Gianluca Arcopinto, Musiche: Sunflower, Andrea Di Giambattista, Francesco Di Florio
