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Nudità, flusso di coscienza e "mal di vivere" al teatro Manhattan

Pubblicato il 19 febbraio 2010 da Laura Khasiev


Nudità, flusso di coscienza e "mal di vivere" al teatro Manhattan

Una donna che parla di sé, del suo passato e di come in poco tempo ha perso tutto. Sulla scena una piccola stanza nella grande metropoli, nella realtà un teatro piccolissimo in una delle vie del centro di Roma: il contrasto tra grande ed intimo non potrebbe essere più marcato. Lo spettacolo Dialoghi nella casa della donna , in scena al teatro Manhattan dal 16 al 22 febbraio, regala lo stralcio di vita di una donna che potrebbe essere una qualunque. Interpretata in maniera molto suggestiva dall’attrice Marcella De Marinis, il personaggio principale ha suscitato nel pubblico forte coinvolgimento e commozione. Un amaro destino l’ha travolta: la morte prematura del marito. Il lutto non elaborato l’ha fatta affogare nel dispiacere più oscuro e la povera vedova, invece di riprendersi, ha costruito attorno a sé una “ragnatela” di malessere. Il delirio che l’ha resa avversa nei confronti della vita, l’ha pian piano rinchiusa in un mondo che è divenuto il suo inferno. Per narrare questa vicenda la giovanissima autrice, regista e attrice Giorgia Verri ha interpretato il ruolo di un’altra donna, che si vede, ma non esiste, e ha poi creato un altro personaggio, un nipote, un uomo, che il pubblico non vede (se non alla fine), ma che in realtà c’è, impersonato da Roberto Repele... L’ambiguità è sovrana della scena e diviene claustrofobica sino a catturare lo spettatore e a stringerlo in una morsa. La dimensione intimista che si viene a creare è il risultato dell’intersezione tra un testo che parla di dolore e la poeticità del monologo, che si trasforma in un dialogo con la propria coscienza e travolge il pubblico in uno stato di ansia che non lo abbandona sino alla fine. La Verri ha saputo cogliere in maniera puntuale ed esatta tutti gli stadi della depressione e ha rispettato la “matematicità” di questa, che chiamiamo la “malattia del nostro secolo”, sia nel testo che nella messa in scena, attuando delle provocazioni che ricordano la veemenza di Sara Kane, celebre drammaturga inglese, che prematuramente ha messo fine alla sua vita. Il flusso di coscienza, che autori inglesi come Richardson, Joyce e la Woolf hanno narrato attraverso i loro libri, qui viene rappresentato e mostrato in tutta la sua metamorfosi. La nudità viene utilizzata per raccontare il “furto” che la vita ha compiuto nei confronti della donna. Non può non venire in mente Pirandello di fronte ad uno spettacolo in cui si assiste ad uno sdoppiamento di personalità. Ci si sente come se si fosse all’interno di un tunnel, in cui ognuno nel giro di un’ora vi entra e compie il suo cammino, guarda dentro sé stesso e solo alla fine, quando le luci si accendono, può prendere respiro e pensare a cosa è successo. Ciò che è stato visto ha lasciato un segno forte, lo sguardo ha rapito immagini che una volta interiorizzate non hanno potuto far altro che infiltrarsi nell’anima e bruciarla ricordando sensazioni, che almeno per una volta forse si sono provate. Il “male di vivere” ha agito come lama tagliente, smembrando l’identità di questa donna in due parti complementari, una bianca e una nera, una con la voglia di vivere, l’altra con il desiderio di morire, una assetata di vendetta verso famigliari che aspirano solo all’eredità, l’altra speranzosa che qualcuno ancora le voglia bene, ma nessuna prevale tra le due, e il finale, così perfetto, tanto da far sembrare lo spettacolo un evento naturale, creatosi così come quelle erbe, che nascono spontaneamente, conclude con la richiesta di un raggio di sole. La “luce” è l’unica cosa che potrebbe salvare da un buio interiore, che uccide più di quello esterno, perché capace di corrodere l’animo, di consumarlo e di annientarlo, quando il proprio corpo è ancora vivo e quindi in grado di sentire ogni minima sensazione. Lo spettacolo oltre a far riflettere sulla forza con cui un male come la depressione investe la mente, tanto da farla divenire incapace di reagire, regala una speranza, che si intravede in quel barlume di “luce”, così suggestivamente disegnato dalla donna accovacciata sul pavimento, perché paradossalmente quando si è corrosi da un dolore così forte può davvero bastare poco per ribaltare tutto e far tornare a vivere l’anima.


(Dialoghi nella casa della donna); Regia: Giorgia Verri; drammaturgia: Giorgia Verri; luci: Daniel Neri; interpreti: Marcella De Marinis, Roberto Repele, Giorgia Verri; teatro e date spettacolo: Teatro Manhattan 16- 22 febbraio


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