Venezia 77 - Nuevo orden
Azione, fantascienza, distopia, horror: questi mondi, Michel Franco li conosce bene e in Nuevo orden li ritroviamo tutti. Il loro prodotto è una sorta di poltiglia verde che attraversa cromaticamente buona parte della pellicola. Nel terribile destino a cui il regista sottopone i suoi personaggi, possiamo leggere una sorta di riflessione a posteriori sulle turbolente vicissitudini che tuttora sconvolgono il Sudamerica.
La trama è talmente essenziale da non esistere: Marianne (Naian González Norvind) è la ricca figlia di un universo privilegiato che ben presto verrà distrutto da un’improvvisa rivolta popolare. I modi e i tempi in cui l’anarchia irrompe sulla scena sono totalmente imprevedibili, così come imprevedibile è lo sviluppo strutturale dell’intero film. Una prima carrellata di immagini ci svela parte degli avvenimenti a cui dovremo assistere inermi, l’effetto è estraniante e si ha quasi l’impressione di trovarsi davanti alla versione cinematografica di un espediente letterario piuttosto tradizionale: quello del manoscritto ritrovato. È come se l’autore ci suggerisse di non credere alla veridicità dei fatti esposti – di solito, ciò succede quando si capita di fronte ad un’opera potenzialmente eversiva. Eppure, il resto del racconto è talmente esplicito da inorridire: la popolazione insorge e priva le vecchie élites di ogni diritto umano e civile. Franco non va per il sottile e ci getta subito nella brutalità dei corpi mutilati, nel bestiale sadismo con cui i servi depredano e uccidono i loro padroni.
Il sangue delle vittime si mescola al verde acido della vernice con cui i ribelli deturpano ville, città, cadaveri – una scelta estetica che trascina i fotogrammi in un limbo surreale fra thriller e science fiction. Nel tentativo di raggiungere la moglie malata di un ex dipendente, Marianne viene rapita e chiusa in una gabbia insieme ad altri prigionieri. In questa sorta di lager, la giovane donna viene marchiata e seviziata, poi scaraventata su una sedia e ripresa mentre chiede un riscatto alla sua famiglia.
Le amare strizzatine d’occhio alle tragedie di cui si compone la storia umana (tanto al passato quanto al presente) si sprecano, ma non siamo qui a elencarle. Nel frattempo, le autorità sembrano vegetare in uno stato di apatica quiete – chissà perché! Le città sono messe in quarantena, le strade pullulano di militari e, ovviamente, gli schiavi rimangono schiavi.
Questo è tutto quello che c’è da sapere: agli sceneggiatori non interessa affatto costruire una costellazione credibile, quanto piuttosto indugiare sui particolari raccapriccianti di questa distopia dai contorni fin troppo vaghi. Finiti gli scontri e i saccheggi, ognuno torna alla propria precedente professione, ma con qualche catena in più: ci si chiede a cosa sia servito massacrare i padroni, se poi si ritorna alle loro dipendenze. Così, i "paria" passano letteralmente da un aguzzino all’altro, riorganizzando le giornate in base agli orari imposti dai ritmi lavorativi e dal coprifuoco. Inutile, poi, sottolineare fino a che punto criminalità e istituzione siano in grado di sovrapporsi, e nelle ultime inquadrature appaiono talmente tante uniformi da confondere le idee anche all’osservatore più attento.
Nell’apocalisse di Franco, come in ogni apocalisse che si rispetti, a soccombere sono gli innocenti, qui ridotti a pedine nelle mani dei potenti – indipendentemente dal lato della scacchiera in cui questi ultimi si trovano. Tutto accade subito, e senza mezzi termini: rivoluzione, dittatura, ritorno al vecchio ordine. Nessun accenno di progressione, non soltanto cronologica (è ben noto, purtroppo, che ogni libertà contenga in sé la malaugurata ipotesi di scomparire da un giorno all’altro), bensì "fattuale". Il risultato è un cosmo "à la Mad Max" – e ci riferiamo, sfortunatamente per il regista, al primo e meno convincente capitolo della celebre saga firmata George Miller: caos e rigore sono due facce della stessa medaglia, e chi osa opporsi a tale assioma deve essere soppresso. Difficile, per il pubblico, portarsi a casa qualcosa, ad eccezione dell’orrendo fastidio provocando da un continuo soffermarsi sui particolari più scabrosi e sui maltrattamenti più disparati. Nonostante i presupposti, Nuevo orden non può considerarsi un film politico: per dipingere non basta saper utilizzare i colori primari, bisognerebbe piuttosto imparare a usufruire delle sfumature.
(Nuevo Orden); Regia: Michel Franco; sceneggiatura: Michel Franco; fotografia: Yves Cape; montaggio: Oscar Figueroa, Jara Michel Franco; interpreti: Naian González Norvind (Marianne), Diego Boneta (Daniel), Mónica del Carmen (Marta), Fernando Cuautle (Cristian), Darío Yazbek (Alan), Roberto Medina (Iván), Patricia Bernal (Pilar), Lisa Owen (Rebeca), Enrique Singer (Victor), Eligio Meléndez (Rolando), Gustavo Sánchez Parra (generale Oribe); produzione: Teorema (Michel Franco, Cristina Velasco L, Eréndira Núñez Larios), Les Films D’Ici (Charlotte Uzu); origine: Messico, Francia 2019; durata: 86’