On Winnie di Vincenzo Manna al Teatro Furio Camillo

Uno spazio asettico e privo di elementi ospita il cammino di un uomo e una donna in viaggio per un cimitero, per andare a trovare un amico da poco deceduto. Si tratta di un percorso capace di raccontare l’intera esistenza, sintetizzata attraverso la metafora di un itinerario occasionale.
On Winnie è il titolo del testo che il regista, il drammaturgo Vincenzo Manna, ha dato al suo studio su Happy Days di Beckett, in scena al Furio Camillo dal 22 dicembre 2009 al 6 gennaio 2010.
I due abili attori, Eugenia Rofi e Nicolò Scarparo hanno ricreato luoghi e tappe di un’intero viaggio, attraverso il movimento e la mimica, e raccontato la loro storia non solo con le parole, ma anche con una gestualità lontana dal naturalismo, che ricorda il metodo mejercholdiano. Il testo è completamente riscritto, ma di Beckett resta il senso intrinseco di una storia che parla di esistenza, di tappe da superare, di stati d’animo comuni a ogni individuo. I due sono compagni, forse marito e moglie, forse amici; ciò che appare lampante è che sono complici di un percorso che li porta a farsi domande sulla vita, a condividere ansie e perplessità sull’esistenza e a trovare anche lo spazio per momenti di tenerezza e romanticissmo. Si fanno domande a vicenda e i loro dubbi li esprimono anche attraverso i movimenti e le espressioni. Passaggi umorali quasi schizofrenici, Winnie è la protagonista, ma l’uomo che l’accompagna non è di certo un personaggio marginale, assieme a lei cavalca stati d’animo euforici per ricadere successivamente nella malinconia più profonda. È come se i due fossero su una montagna russa e facessero su e giù, e gli spettatori con loro. Forti sospiri, quasi ansimanti; la corsa si fa sempre più isterica, i due però non si lasciano mai, discutono e si scambiano battute divertenti, sdrammatizzano sul senso della vita, destando divertimento e risate, ma non senza far riflettere a fondo su ciò che è l’essere umano e in cosa consiste il suo esser parte di questa esistenza. Scene che richiamano la suggestività dei film muti, movimenti e parole che si intrecciano in un affascinante tragitto emotivo. Tutto si muove sempre, ma ad un certo punto i due che camminano affianco, su due strade parallele, si incontrano in un sentiero comune: le note della splendida canzone di Gino Paoli Senza fine accompagna un ballo, che li avvolge in un incontro amoroso. Si capisce il senso dello stare insieme, che non è solo amore e passione, ma anche condivisione dei momenti più difficili, delle paure e delle ansie. Tutto ciò è parte del sentimento più grande e tutto ciò compone il “puzzle” della vita. Tutto quello che in Beckett era fermo e stantio qui si trasforma in frenetico e movimentato: è come se la nuova generazione rispondesse a quella passata e raccontasse qualcosa di mai detto prima sulla vita, sulla trasformazione della modernità in post-modernità, sul rapporto dell’individuo con sé stesso. Epoche che si comportano come dei gas, tempo che si trasforma e da gassoso diviene “liquido” e scorre più velocemente, portando con se tutti i detriti dei tempi passati, facendoli convivere assieme in un unico flusso.
Vedendo le reazioni del pubblico viene da pensare che forse anche il teatro sta cambiando. Se Barthes scrisse che al suo tempo (un tempo molto vicino al nostro) il teatro era stato sostituito dagli stadi, e che il patire/gioire assieme, che avveniva di fronte alla tragedia greca, era passato alle platee calcistiche, si può dire anche che questo spettacolo ha portato un ulteriore passaggio e il pubblico è tornato a condividere le proprie reazioni a teatro. Spettatori e attori son presto divenuti partecipi di un medesimo cammino e hanno condiviso sino all’ultimo respiro. Una volta usciti fuori ci si è sentiti più leggeri, come se tutta la pesantezza a cui spesso la vita ci sottopone sia andata via dalla propria testa. Uno spettacolo che si potrebbe vedere più volte proprio perché non è fine a se stesso, ma svolge più funzioni, quella di stimolare le menti e sollevare gli animi, quella di far sorridere ma anche riflettere e dunque una messa in scena che può definirsi completa, pur lasciando spazi vuoti, laddove la fantasia ha la possibilità di muoversi liberamente. Tutto ciò ben si sposa con la filosofia pragmatica dei nostri tempi, che ci permette di utilizzare la cultura e l’arte come “una guida della condotta pratica dell’uomo nei confronti delle cose”.
(On Winnie); Regia: Vincenzo Manna; drammaturgia: Vincenzo Manna, da uno studio di Happy Days di Samuel Beckett; luci: Elisa Menchicchi; scenografie:; costumi: Cassepipe; interpreti: ( Eugenia Rofi), ( Nicolò Scarparo); teatro e date spettacolo: Furio Camillo, 22 dicembre 2009-6 gennaio 2010; info:;
