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Pinter’s Anatomy di Ricci/Forte a Short Theatre

Pubblicato il 26 ottobre 2010 da Laura Khasiev


Pinter's Anatomy di Ricci/Forte a Short Theatre

Un obitorio? O cosa? Una stanza, piccola e stretta, per pochi spettatori, un albero di Natale (eppure siamo solo a metà settembre), che diviene qui un simbolo che parla di morte, sul quale verranno appesi i nomi degli spettatori. Un uomo nudo, sdraiato, forse morto, le sue parole fuoriescono come se fossero prodotte da un registratore. Personaggi Disney coprono i volti di coloro che attenteranno all’identità del pubblico e confoderanno il loro essere con quello di chi si trovano davanti, qualcuno a caso, che è capitato in quel posto e che si vede presto spogliato di qualcosa di davvero prezioso, il proprio nome, il proprio passato, il proprio modo di essere, che questi interpreti non tardano a cucirsi addosso per poter proseguire con la loro rappresentazione. Pinter’s Anatomy è uno spettacolo che comincia a parlare sin dal suo titolo, come se tutta la poetica pinteriana fosse compressa in un nome, in una definzione, che si rivela allo spettatore attraverso la vivisezione di quello che è il mondo di Pinter. All’interno della rassegna Short Theatre anche quest’anno diretta da Fabrizio Arcuri, Ricci e Forte istigano il pubblico, lo sfidano e con l’arma dell’ambiguità cavano commozione dagli occhi, ma soprattutto affrontano i lati bui dell’animo umano, prendendosi il permesso di andarli a scoprire. Le tematiche che il drammaturgo inglese sollevò nelle sue pièce sono qui raccolte e portate al pubblico attraverso provocazioni vigorose a cominciare dall’entrata in una camera angusta, accompagnati o per meglio dire “spinti” dentro da individui con i volti coperti. L’andare a teatro per scelta si trasforma così in un atto di coercizione da parte di coloro che lo hanno creato. Tutto qui però ha una sua funzione, da subito una sensazione clautrofobica si impossessa degli spettatori, pochi, per scelta dei registi, sia per una questione di spazio, per voler rendere più intima la rappresentazione. Sin dall’inizio viene messa in atto l’attivazione del pubblico, coinvolto nella messa in scena, chiamato in causa attraverso un “colloquio” talvolta sfrontato, fatto di gesti e di sguardi, che il più delle volte trafiggono gli occhi e tirano fuori lacrime che mai si vorrebbero mostrare. Non si può non stare attenti: se nel teatro di narrazione la distrazione e il rimando ai propri pensieri è parte integrante dello spettacolo, qui avviene esattamente l’opposto, un teatro principalmente basato sulle immagini, raccontate da movimenti corporei e da oggetti che tracciano percorsi di vita complessi e pieni di enigmi. Così lo spettatore non può smettere di guardare ciò che ha davanti, di sentirsi toccato personalmente da ciò che sta vedendo. Pian piano si palesano tutte quelle questioni che in Pinter sono sfoderate in una forma canonica di rappresentazione, qui tutto viene ribaltato ed è proprio per questo che quelle situazioni narrate dal celebre drammaturgo ci dicono qualcosa di nuovo. Ricci e Forte , i due registi/demiurghi, raccontano, attraverso una nuova forma, vicende che sono comuni all’essere umano, ma soprattutto è implicito nel loro spettacolo un nuovo modo di fare teatro, che si inserisce nel circuito contemporaneo, sfrondando i lineamenti di un passato scenico che ormai ha fatto il suo tempo. L’incontro tra passato e presente è suggestivo tanto quanto crudele, richiama poeticamente Artaud, ferisce gli occhi e l’anima, strappa sorrisi amari e lascia un senso di malinconia, che cova dentro anche quando, a fine della rappresentazione, si è letteralmente cacciati via dalla sala, senza alcuna possibilità di applaudire. Viene così negata al pubblico la consueta possibilità di giudizio che sin dalla Grecia antica è parte interante della teatralità. Gli attori non sono più attori, ma portatori di storie di vita. La critica della coppia che Pinter affrontò attraverso un teatro basato su schemi ben precisi, viene qui riproposta, enfatizzandone tutti i lati, il racconto delle prime esperienze di una ragazza e di un gay, che all’inizio sembrano uniti dall’amore, fanno credere di aver condiviso la loro prima volta, ma poi le loro identità si distanziano e mostrano due vite parallele, che mai si sono incontrate. Intersezioni di esistenze diverse, personalità che sembrano incrociarsi per poi allontanarsi, spettatori ai quali viene rapito un pezzo di vita, per portarlo dentro quella scena che diventa culla e allo stesso tempo prigione dalla quale si vorrebbe scappare: si crea così un’attrazione irrefrenabile che fa restare incollati al muro a osservare fino alla fine ciò che accade. Musiche di un tempo lontano incontrano le melodie pop degli anni che stiamo vivendo, un contrasto che ancor di più rende atroce la visione e lo stare in quel posto. Violenza contro gli omosessuali, violenza contro un detenuto probabilmente tossicodipendente, strumentalizzazione di potere, ancora scambi e scontri di identità, che parlano del nostro presente e delle ingiustizie che logorano la società in cui viviamo, senza toccarci personalmente, ma togliendo pian piano e in modo losco, quella libertà guadagnata nei secoli, che sta scomparendo senza che ci sia coscienza di questo. Un teatro che parla del teatro, che ci avverte riguardo alla corruzione nella quale siamo tutti coinvolti, pur non rendendocene conto, o forse non volendo rendercene conto. Grazie a questo spettacolo il teatro ha l’occasione tanto cara a Gramsci e ad Artaud di svolgere la sua “funzione sociale” e di svegliare le coscienze “crudelmente”, se necessario, dopo averle commosse e violate, affinchè queste, una volta conclusa la rappresentazione, siano pronte per la loro battaglia contro chi vuole togliere la libertà, tentando di assopire gli animi in modo losco, andando ad intaccare una delle cose più preziose che resta al nostro paese: il Teatro.


(Pinter’s Anatomy); Regia: Ricci/Forte; drammaturgia: Ricci/Forte; interpreti: (Marco Angelilli), (Pierre Lucat), (Andrea Pizzalis), (Giuseppe Sartori); teatro e date spettacolo:Sapzio 1 all’interno del MAXXI di Testaccio; info: In collaborazione con Css Udine, dall’8 all’11 settembre 2010 all’interno del Festival Short theatre.


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