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Pivio & Aldo De Scalzi: la musica nel sangue (e sullo schermo)

Pubblicato il 12 dicembre 2012 da Sofia Bonicalzi


Pivio & Aldo De Scalzi: la musica nel sangue (e sullo schermo)

Milano 11 dicembre 2012

Non si fermano mai Pivio e Aldo De Scalzi, fra i più prolifici e apprezzati compositori di colonne sonore nel panorama cinematografico (con significative incursioni fra teatro e televisione) italiano. Collaboratori di lungo corso di artisti come Ferzan Özpetek e Alessandro D’Alatri, Marco Risi o i Manetti Bros., i due musicisti genovesi esordiscono al cinema nel lontano 1997, con Il Bagno Turco, di Ferzan Ozpetek. Abbiamo raggiunto Pivio, portavoce del duo ed ex ingegnere con la musica nel sangue, che ci ha raccontato di un incontro nato per caso...

Pivio: Francesca D’Aloja e Marco Risi ascoltarono il nostro disco Deposizione a casa di un amico comune. All’epoca Risi stava per produrre il film di un giovane esordiente. Il film era Il Bagno Turco, di Ferzan Özpetek. Da lì è iniziato tutto: in seguito abbiamo incontrato Ozpetek e, in dodici intensissimi giorni, abbiamo confezionato una colonna sonora perché il film fosse pronto per la selezione della Mostra del Cinema di Venezia. Poi invece è stato selezionato per il Festival Cannes (Quinzaine). Ci sono andato io: una sensazione potente, anche se non abbiamo capito immediatamente quanto la nostra esistenza sarebbe cambiata. Tornato a casa, ho rassegnato le dimissioni (a differenza di Aldo, allora non mi occupavo di musica a tempo pieno) e, nel giro di poco, ci sono arrivate le prime proposte.

Con quel film è cominciata anche la collaborazione con Gassman..

Pivio: Ci siamo conosciuti in quell’occasione e da allora abbiamo lavorato molto spesso insieme. Di solito a teatro e ora per il suo primo film, Razza Bastarda, che è stato presentato al Festival di Roma.

Che differenza c’è fra lavorare per il cinema, il teatro o la televisione?

Per il cinema siamo abituati a lavorare frame by frame, concentrandoci su ogni sequenza. A teatro non si può fare, bisogna essere abili nel costruire brani musicali adatti ad accompagnare le variazioni di tono, le modulazioni della voce, le varianti nella recitazione. La televisione costringe a un metodo ancora diverso quando si tratta di lavorare su fiction composte di molti episodi. Abbiamo realizzato la colonna sonora di tutte le undici stagioni di Distretto di Polizia: spesso si deve strutturare la musica in modo seriale, costruendo dei temi riutilizzabili e sapendo che altri si occuperanno del montaggio musicale. Serie come Coliandro, dei Manetti Bros., sono invece composte da episodi chiusi in se stessi, autonomi. La musica è sempre funzionale al tipo di narrazione.

Per Paura, dei Manetti, hai lavorato senza Aldo. Come funziona il vostro sodalizio artistico e come mai hai preso un impegno in solitaria?

Io e Aldo siamo amici dall’inizio degli anni ’80, quando lui militava nella nota formazione Picchio dal Pozzo. Il padre aveva creato per lui e per il fratello Vittorio (fondatore dei New Trolls) lo Studio G, un punto di riferimento della scena progressive, da cui scaturì l’etichetta indipendente Magma Records. Nel 1984 uscì Fahrenheit 451, pubblicato con il mio gruppo new wave, un album dall’anima pop che ebbe una certa fortuna in classifica. Questo è il clima nel quale io e Aldo siamo cresciuti, condividendo una sconfinata passione per la musica: in cinquant’anni di vita abbiamo ascoltato di tutto. Ho lavorato da solo con i Manetti perché Aldo aveva altri impegni, è stato un caso: forse il fatto di essere molto diversi caratterialmente (Aldo più schivo, io più a mio agio in pubblico) è il segreto del nostro sodalizio. Entrambi siamo poi molto legati alla nostra città: Aldo continua a viverci, io mi sono spostato a Roma, ma lo studio in cui lavoriamo resta comunque a Genova. Spesso poi storpiano i nostri nomi nei modi più improbabili (si passa da Pivio e Aldo Scalzi a Nicola Pivio a Pino e Aldo De Scalzi), scambiandoci per fratelli (e forse in fondo un po’ lo siamo).

In che modo è cambiato il mondo della “musica applicata” negli ultimi anni?

Direi che si è modificato l’interesse degli editori nei confronti degli investimenti legati alle produzioni cinematografiche: oggi il cinema italiano rappresenta un mercato economicamente depresso e inevitabilmente gli spazi si sono ridotti. C’è un problema di budget molto serio, che investe da un lato chi sta cominciando a lavorare, e dall’altro tocca anche chi è da anni nel settore. Fino a 3 o 4 anni fa si poteva lavorare con orchestre piuttosto ampie; ora si tende a risparmiare il più possibile e a preferire la musica elettronica, che consente ovviamente di ridurre le spese. L’aspetto più interessante di questo mestiere sarebbe invece la possibilità di esplorare nuovi mondi, di cercare sempre qualcosa di diverso. Noi lavoriamo con una gran varietà di toni e di organici, dalle sonorità mediorientali de Il Bagno turco, alla musica jazz, ai suoni naturali ricampionati. La differenza rispetto a quando abbiamo iniziato si nota anche a livello distributivo: un piccolo film come Il bagno Turco poteva restare in sala per 3 o 4 settimane, se dimostrava di saper funzionare. Oggi si tende a far uscire con un gran numero di copie i prodotti “sicuri”, mentre ciò che appare meno rilevante dal punto di vista massmediatico non gode di visibilità alcuna.

Eppure partecipate spesso a lavori a budget ridotto..

Lo facciamo spesso e continueremo: purtroppo molti dei ragazzi che cominciano adesso finissimo per accumulare una serie di biglietti da visita non spendibili. Chiunque oggi può fare musica, ma lo spazio globale paradossalmente va riducendosi.

Voi però cercate di preservare la vostra indipendenza. Nella vostra discografia c’è anche un album di canzoni, Rejected Zongzs.

Abbiamo creato una nostra etichetta per restare autonomi. L’album che hai citato è una collezione di canzoni, quasi tutte inedite (salvo Hand of God, che compare nel film La mano de Dios di Marco Risi) e quasi tutte cantate da noi. Il titolo è un gioco di parole, deriva dal nome di un piatto casalingo cinese, ravioli (Zongzi) composti di “avanzi meritevoli”. Presi singolarmente non sono male, ma insieme hanno un gusto particolare.

Domanda di rito: a che cosa state lavorando?

Abbiamo finito da poco di collaborare a Il peggior Natale della mia vita di Genovesi e stiamo ultimando Un Natale con i fiocchi, di Avellino. Ora ci attendono una serie di progetti, tra cui il nuovo film dei Manetti, ambientato a Napoli (camorra e cantanti neomelodici, con canzoni inedite degli Avion Travel), il film di esordio del giovane regista Sergio Basso, e il cortometraggio di Carmen Giardina Fratelli minori. In attesa di uscire nelle sale sono diversi lavori cui abbiamo lavorato negli ultimi mesi, tra cui il nuovo film di Gionata Zarantonello, The Butterfly Room, che segna il ritorno al cinema di Barbara Steele.

Quali riconoscimenti avete ricevuto nell’arco della vostra carriera?

Tre nomination ai David di Donatello, per Ormai è fatta, Casomai e Si può fare; otto o nove nomination per i Nastri d’argento. Ci andiamo spesso, ma non abbiamo mai vinto. Ormai ci prendono in giro! Ci siamo aggiudicati il premio Fellini per El Alamein. Al Costaiblea FilmFestival ci è stato consegnato di recente un premio alla carriera.

Di fronte a un nuovo progetto che tempi e che ritmi vi date?

Non ci sono regole. Di solito ci arriva una sceneggiatura discussa a priori con gli autori e noi cerchiamo di costruire una musica che sia funzionale alle immagini che supporta. La colonna sonora non è un ornamento a se stante, privo di connessioni con quel che si svolge sulla scena. Ammetto che i risultati migliori arrivano quando ci è concessa carta bianca, ma capita di partire da film già montati, con musiche di appoggio più o meno vincolanti. Inoltre non ci sono tempi standard: dipende da quel che abbiamo di fronte. Abbiamo realizzato colonne sonore in cinque giorni e altre in tre mesi. L’importante è non smettere di cercare.


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