Poeticità e speranza in "12 baci sulla bocca" di Mario Gelardi

Colpi fortissimi sfondano l’assordante silenzio della sala. Il buio pervade lo sguardo e fa smarrire un pensiero che non sa ancora dove compirà il suo viaggio... Son le prime parole a tradirne la meta: Napoli, catapultati in una periferia quasi ai margini della realtà. Qui si consuma la complessa e travolgente vicenda, che porta il titolo di 12 BACI SULLA BOCCA. Già in scena a Spello, al Teatro SUBASIO e al teatro BELLI di Roma, approda al Teatro GALLERIA TOLEDO dal 23 al 28 febbrao. Scritto da Mauro Gelardi, drammaturgo conosciuto per aver portato in teatro Gomorra, questo spettacolo è diretto da Giuseppe Miale Di Mauro, regista in grado di in sfoderare in scena due tipi di omosessualità differente, ben tratteggiate grazie anche all’abilità recitativa dei due interpreti Francesco Di Leva, nel ruolo di Emilio, e Andrea Vellotti nel ruolo di Massimo. La periferia napoletana fa da sfondo all’incontro tra Emilio, cameriere in cerca di lavoro, e Massimo, socio assieme al fratello di un ristorante. Le registrazioni che annunciano la morte di Pasolini, sconvolgente fatto di quel periodo, e che parlano del Movimento Sociale Italiano e del suo massimo esponente Giorgio Almirante, fanno percepire allo spettatore che l’epoca coinvolta si aggiri attorno agli anni ’70, connotando così anche un clima storico-culturale ben preciso. La quotidianeità al lavoro procede come un corso d’acqua di un ruscello, finché tra una risata e una battuta, Massimo ed Emilio si accorgono della loro attrazione reciproca e interrompono così quello “scorrere calmo” della vita. A questo punto, come due facce diverse di una stessa medaglia, vengono disegnati i due tipi di omosessualità, quella sfrontata e segnata dall’esperienza di Emilio, e quella timida, mesta e coperta dalla voglia di nascondersi dietro una facciata di comodo, che appartiene a Massimo. Tra i due si pone il fratello di quest’ultimo, interpretato da Stefano Meglio, attaccatissimo alle convenzioni, alle consuetudini. La bravura dell’attore mette in evidenza come questo personaggio sia prigioniero del suo stesso bigottismo, pronto a fermare la sua durezza solo di fronte all’amore verso un fratello, che considera diverso, senza neanche accorgersene. Il fatto che Massimo sia coinvolto in una passione omoerotica è per lui una disgrazia imparagonabile, soprattutto per chi, figlio di quei tempi e quella realtà, considera il matrimonio come una meta necessaria nella vita di un uomo. La tristezza che lo pervade è di una drammaticità tale che egli non riserva neanche di fronte alla tomba dei suoi cari, dove si ritrova col fratello, in un cimitero, suggestvamente tracciato dalle luci soffuse di candele rivestite dal buio. I due sono avvolti dalle affascinanti note de LA BOHEME di Aznavour, che cavalcano con le loro risate aggrappate a ricordi lontani. Massimo ha paura, ma la sua passione ha una forza maggiore del suo timore, ricorda quella delle alluvioni, trascinanti tutto ciò che incontrano con una tale violenza che nulla può fermarle. Con lo stesso vigore gli incontri amorosi di Massimo e Emilio continuano e si palesano sulla scena quasi come “scontri tra gladiatori”; con i loro occhi vibranti, i due innamorati cancellano la furia, lasciando sul palco solamente le tracce di un amore puro, consumato fra la paura e la temerarietà, che la bellezza dei due corpi illumina di poeticità. L’unione inoltre è arricchita dai colori vivaci delle bellissime canzoni, che come pennellate danno luce alla storia. Lo spettatore si sente complice e trascinato in quell’amore trasgressivo che si consuma fra i tavoli della sala da ricevimento, la stessa dove Massimo festeggerà il suo matrimonio. Alla fine di ogni amplesso le sedie vengono riposte nel loro ordine, quasi come a dare segno di voler tornare alla propria realtà, fatta di convenzioni e formalismi, che cancellano con poco tutta la vitalità di un sentimento, che purtroppo non sarebbe compreso come dovrebbe. Focault nel suo libro La volontà di sapere, afferma che “Nella società occidentale moderna la produzione di discorsi, a cui si è attribuito un valore di verità, è legata ai vari meccanismi e istituzioni di potere”, ciò ha allontanato la questione dell’omosessualità dalla sua vera esigenza, ossia di essere riconosciuta come uno dei diversi tipi di sessualità, che aggiunge varietà al nostro mondo e alla natura umana, in cui le differenze sono valori aggiunti e non difetti. Inoltre l’essere legati ai meccanismi di potere ha generato ideologie fuorvianti da quella che è la realtà omosessuale, andando così a formare un terreno arido per coloro che sono attratti da persone dello stesso sesso. Ancora oggi purtroppo si fa difficoltà a capire che è l’omofobia ad essere artificio dell’uomo, mentre l’omosessualità è solo una delle tante sfaccettature del genere umano. Questo equivoco crea disagi non solo a gay e lesbiche, ma anche ad tutti quegli eterosessuali che sentono tale “menomazione” della società come un ostocolo al viver bene. La storia raccontata da Gelardi si conclude con il trionfo dell’ipocrisia, il matrimonio compiuto, e quella patina di perbenismo realizzata attraverso l’atroce scelta del fratello di Massimo, la più semplice e la più sbagliata... In scena la luce è pian piano consumata da un finale che ci appare come lo specchio della realtà, fino a sgretolarsi nel buio, ingoiata dalla canzone di Angela Luce, dal titolo L’IPOCRISIA, che racconta come la “triste nemica della verità” si appropria delle menti più deboli, reprimendole in una realtà non scelta ma necessaria, che le porta a scivolare nel “buio dell’esistenza”. La bellezza di questo spettacolo risiede in ogni sua parte, dal testo, alla resa scenica, al lavoro attoriale e si pone come ulteriore “arma”, pronta a sfondare il muro dell’ipocrisia, radicato nei secoli da quei i meccanismi generati dalle istituzioni, che ne costituiscono i mattoni. Questa storia ha una forza tale nei confronti del pubblico, da far sperare in un futuro in cui quel “muro” sarà totalmente distrutto e lascerà spazio al “fiorire” della libertà.
(12 BACI SULLA BOCCA); Regia: Giuseppe Miale Di Mauro; drammaturgia: Mauro Gelardi; luci:Ettore Nigro; scenografie:Roberta Mattera; costumi:Giovanna Napolitano; interpreti: (Francesco Di Leva), (Stfano Meglio), (Andrea Vellotti), teatro e date spettacolo: Napoli, Teatro GALLERIA TOLEDO, dal 23 al 28 febbraio
