POIROT E J.B. FLETCHER: L’INTRAMONTABILE FASCINO DELL’ WHODUNIT

Nella celeberrima (e ormai mitica) intervista a Truffaut Alfred Hitchcock si pronunciava a favore della suspense, cardine di tutto il suo cinema, a scapito della sorpresa: chi non ricorda l’esempio della bomba sotto il tavolo, che assume un valore nell’economia del film solo a condizione che lo spettatore sia a conoscenza del fatto?
Il “chi è stato?” per Sir Hitch è soltanto un rompicapo che genera una curiosità priva di emozione, un gioco di pazienza o un cruciverba, il cui unico interesse sta nello scioglimento dell’enigma finale. Come contraddirlo?
Eppure è un fatto che, almeno sul piano letterario, la detective story di matrice britannica abbia da decenni schiere di fedelissimi seguaci per cui la lettura di un romanzo poliziesco, da evasione distensiva, assume la dimensione di una vera e propria dipendenza: le fasi della scoperta del corpo, l’inchiesta dell’investigatore con gli immancabili interrogatori e il chiarimento finale divengono un dolce vizio da coltivare in perfetta solitudine.
Una ripetitività che sebbene funzioni sulla carta spesso risulta fatale sul grande schermo, dove invece trionfa l’hard boiled alla Chandler, in cui l’inchiesta è solo pretesto per la messa in scena del personaggio e del suo mondo, più spesso interiore. E in effetti l’immagine del poliziesco come “poema epico della metropoli e della vita moderna”, offerta dal giallista G.K. Chesterton, sembra aderire meglio al noir che non alla detection classica.
Malgrado la tiepida accoglienza riservatagli dal cinema, l’whodunit non va dato per spacciato: la forza della formula, della regola ferrea, che scandisce questo tipo di narrazione, si adatta invece perfettamente all’universo televisivo dei serial,che vivono anch’essi di ripetizione.
Non è un caso che tra i telefilm di maggior successo di sempre un buon numero sia costituito da gialli che seguono le gesta di investigatori, professionisti o dilettanti: il Tenente Colombo di Peter Falk o il Perry Mason di Raymond Burr , senza dimenticare il teutonico Ispettore Derrick, hanno fatto la storia del genere in tv.
Ma altre due serie appaiono degne di nota in questo vasto panorama: l’inglese Poirot e la statunitense La signora in giallo; basate entrambe sui due personaggi più celebri scaturiti dalla penna di Agatha Christie - Poirot e Miss Marple - si distinguono, una per la sua stretta aderenza al modello letterario, l’altra al contrario, proprio per l’adattamento di tale modello a un altro contesto e a un’altra epoca.
Jessica Fletcher, l’arguta insegnante del Maine divenuta scrittrice di gialli, somma i tratti di Miss Marple a quelli della sua autrice: amante del giardinaggio e residente in una piccola città come la prima, ma anche donna di lettere come la Christie: l’importanza della professione è del resto racchiusa dal titolo originale Murder she wrote.
Cabot Cove è invece il St. Mary Mead della provincia americana, da cui la protagonista può osservare al microscopio la natura umana con le sue depravazioni. Possiedono ambedue il fascino del villaggio “fuori dal mondo”, apparentemente lontano da ogni malvagità e sebbene - per dirla con la Christie - il male si annidi ovunque sotto il sole, queste cittadine hanno davvero la capacità di conservare un certo candore a dispetto degli omicidi: una volta individuato il colpevole, la mela marcia, tutto torna a scorrere come se niente fosse successo.
L’operazione effettuata con Poirot è invece sostanzialmente diversa e anche più ambiziosa: una natura filologica sembra animare questo progetto, tanto accurato dal punto di vista scenografico, come da quello registico e interpretativo.
L’Inghilerra degli anni 30, scenario dei migliori romanzi della Christie, è ricostruita fin nei minimi dettagli e il protagonista, David Suchet, è sicuramente il Poirot più somigliante a quello della descrizione letteraria, malgrado i grandi attori che al cinema hanno prestato il loro volto al personaggio, dall’Albert Finney di Assassinio sull’Orient Express diretto da Lumet, a Peter Ustinov, il più costante nei panni dell’investigatore belga con ben cinque film all’attivo.
Se alcuni “episodi” - dato il successo della serie negli ultimi anni si è passati dai 50 minuti del telefilm classico ai 100 dei film per la tv - ricalcano diligentemente quanto scritto dalla Christie, limitandosi a ricreare visivamente il mondo dei suoi romanzi, in altri casi il risultato è davvero sorprendente: Il ritratto di Elsa Greer, dall’omonimo libro (titolo originale: Five Little Pigs), con i suoi diversi piani temporali, colori caldi per i flashback del passato e toni freddi per l’inchiesta attuale, e il malinconico commento musicale di Satie, diventa ben più di una caccia all’assassino.
Affascinati dall’eleganza della confezione, ci si compiace di come l’whodunit abbia finalmente trovato una sua giusta collocazione.
