Pollock: La Pittura Si Fa Cinema

“Action-painting” è il termine con cui viene indicata la corrente pittorica di cui Jackson Pollock fu il caposcuola nella vibrante New York degli anni Quaranta.Ma questo termine, che sta ad indicare il valore assoluto dato dall’artista all’atto creativo in sé e per sé, potrebbe coincidere perfettamente anche con i momenti migliori d questo esordio registico di Ed Harris. La costruzione di una tela usando le travi di legno di una parete, la preparazone del colore, la stanza vuota nella quale celebrare il rito della genesi di un’opera: sul montaggio puntuale e rigoroso di queste azioni si scaglia potente e nervosa la figura di Harris/Pollock, il suo corpo tarchiato, la faccia scolpita nel vento, le mani logore di pittura. Il cineasta sceglie come punto focale del suo sguardo su Jackson Pollock la concretezza della materia e la carnalità dei corpi e filma se stesso che diventa, in una sorta di estatico work in progress, Pollock e la sua vorticosa aspirazione di arrivare all’astrattezza della forma e della luce atraverso il peso straziante della vita compromessa e acciaccata dalle trappole della realtà. Se il punto focale è la creazione, ciò che vi ruota attorno e che sembra convergere sempre verso di esso è l’esistenza bruciante e malata di questo grande artista imprigionato nel corpo di un piccolo uomo alcolista, incosciente della propria genialità, destinato a buttarsi via. E se nel concepirlo come artista Harris mette al centro dell’inquadratura il suo corpo, la tela bianca e il colore, come uomo lo pone a confronto con un altro corpo posto quasi sempre ai lati dell’inquadratura e quasi sempre in tensione per penetrare nel rarefatto spazio creativo e vitale di Pollock: questo corpo allungato, imponente e straripante vitalità e orgoglio appartiene a Marcia Gay Harden, che fa di Lee Krasner, la moglie di Pollock, la lama rilucente in grado di squarciare l’ingannevole degrado della carne e della mente e far sgorgare la verità dell’arte. I momenti in cui il suo spazio riesce a coincidere dolorosamente con quello del marito e in cui entrambi si abbandonano alla forza primitiva di un paesaggio rurale - una mano immersa nella terra, la luce accecante del sole, osservare dei semi che germogliano - danno uno spessore e un’intensità ancora più forte alla comprensione dell’opera di Pollock in quanto pura azione. Proprio per questo risultano ancora più stonate e superflue le note biografiche dell’artista, l’opaca descrizione delle figure di contorno - De Kooning, la Guggenheim - e il finale stiracchiato e frettoloso. Sono le scorie di un immaginario creativo arso e consumato nel petto di quei due corpi.
[maggio 2003]
