Venezia 77 - Preparations to be together for an unknown period of time
Il secondo lungometraggio della trentottenne regista ungherese Lili Horvát dallo splendido titolo internazionale Preparations to be together for an unknown period of time ( Preparativi per stare insieme un imprecisato periodo di tempo ) è un film scritto bene e ben interpretato dalla protagonista Natasa Stork che potrebbe anche trovare spazio nelle strette maglie della distribuzione europea e perché no anche italiana. Come già Tenet, ma evidentemente su un piano totalmente diverso, è anch’esso un mind-game-film, nel senso che lo spettatore resta per tutto il film incerto su quale sia lo statuto di realtà delle immagini che vede: sogni, proiezioni, realtà, appunto. E soprattutto: chi vede? chi guarda? C’è un narratore onnisciente oppure tutto, ma proprio tutto è filtrato attraverso la prospettiva della protagonista?
L’incertezza resta per l’intero film, anche se quantitativamente le scene il punto di vista della protagonista restano prevalenti. La storia è assai elementare nella sua eccezionalità: Márta, una neuro-chirurga ungherese con una brillante carriera nel New Jersey conosce durante un convegno negli USA un collega ungherese. È amore a prima vista. Si danno appuntamento qualche mese dopo, alle 5 del pomeriggio, a Budapest, sul Ponte della Libertà, lato Pest. Márta fa armi e bagagli, decisa per quest’amore a mollare tutto e a ritrasferirsi nella sua città natale. Peccato che alle 17 del fatidico giorno János non si presenti affatto. Da quest’evento ha inizio una "quest" che persegue due strade uguali e contrarie, forse cronologicamente sfalsate: la ricerca di lui e un’indagine psicologica, anzi diremmo psichiatrica volta a stabilire se sussistano le premesse diagnostiche per un disturbo della personalità.
Non è difficile per Márta rintracciare János, stiamo pur sempre parlando di un collega, la persona, dunque, per lo meno esiste, peccato che quando lei gli va incontro chiedendogli ragione del mancato appuntamento, lui non la riconosca, sostenga di vederla per la prima volta. Márta non demorde, si fa assumere nello stesso ospedale dove lavora lui, col curriculum che si ritrova la prendono a occhi chiusi (interessante, seppur secondario nel film, questo conflitto di civiltà che è in parte anche un conflitto generazionale, fra il prestigio e il know-how degli USA e l’ospedale universitario, sgarrupato assai, della capitale ungherese).
Questa prima linea (la ricerca di János) diviene vieppiù ossessiva fino, di fatto, a far di Márta una specie di stalker, senza che tuttavia - volutamente - sia dato giungere a una conclusione univoca (Márta delira? János fa finta di nulla?), anche se verso la fine sembrerebbe palesarsi un possibile happy-end. Né si perviene a una diagnosi a seguito delle reiterate sedute dallo psichiatra.
Lo spettatore viene chiaramente invitato a sospendere l’incredulità, a farsi catturare in quest’atmosfera di incertezza, leggermente inquietante, tenuto conto anche del fatto che la protagonista è a sua volta vittima dei pedinamenti e delle massicce avance di un giovane studente di medicina, il cui padre è stato operato e guarito dalla talentuosa Márta.
Il concetto di sospensione è meravigliosamente esemplato nella scena finale: una carrucola che issa all’ultimo piano di un casamento l’enorme cassa di uno stereo che resta, appunto, lì sospesa, osservata dagli occhi azzurri azzurri di Márta. In quella casa sembra che Márta e János andranno a vivere. Sembra.
(Felkészülés meghatározatlan ideig tartó együttlétre); Regia: Lili Horvát sceneggiatura: Lili Horvát; fotografia: Róbert Maly; montaggio: Károly Szalay; interpreti: Natasa Stork (Márta), Viktor Bodó (János), Benett Vilmányi (Alex); produzione: Poste Restante; origine: Ungheria, 2020; durata: 95’