PURIFICATI (CLEANSED)

Sarah Kane, ovvero, un’esperienza. Conviene partire da questo assioma: nessuno può mettere in scena “impunemente” un testo della drammaturga inglese senza subirne il fascino della dannazione. Non si può assistere ad una messa in scena (qualsiasi messa in scena) di un testo di Sarah Kane senza vedere lei, senza sentire le sue parole, senza ascoltare la sua ferocia vomitata sul pubblico, senza considerare la sua morte precoce. In Italia era rimasto l’ultimo testo ancora non rappresentato, Purificati (Cleansed), quasi fosse irrappresentabile. Marco Plini raccoglie la sfida e porta il testo alla Biennale di Venezia 2004, sotto la rigorosa egida di Massimo Castri che, in questa edizione, ha voluto promuovere il “nuovo teatro nuovo” italiano. Sfida vinta per il regista napoletano: Purificati colpisce nel segno e non lascia indifferenti. “Per stomaci forti”, è stato scritto, si è parlato di “violenza estrema”, ma lo spettacolo non si riduce all’elenco delle sevizie e mutilazioni perpetrate dal dottor Tinker, o agli amplessi etero e omosex che poco lasciano all’immaginazione. La critica psicanalitica li chiamerebbe esorcizzazioni delle paure inconsce della scrittrice, che era assuefatta agli psicofarmaci ed era in cura da anni da un’analista. E’ facile vedere nella straordinaria protagonista, Grace, le sembianze androgine della Kane, che vaga in uno smarrimento di coscienza tra uno scoppio di rabbia e uno spiraglio di tenerezza, tra un’identità sessuale e un’altra, più vera. Così Grace è colei che si strazia per la perdita del fratello Graham, che chiede giustizia per il corpo di lui (echi di Antigone), che indossa i suoi abiti come una seconda pelle, che si identifica con il fratello fino all’incesto, fino a voler cambiare sesso per essere come lui, per rivivere la sua esistenza spezzata. In una saga infinita di morte e sopraffazione, schiacciati dal senso di colpa, i personaggi fuggono in un percorso incredibilmente complesso, una fuga continua da se stessi, da ciò che ognuno di essi rappresenta, uomini e donne intrappolati in corpi non propri, che corrono in avanti alla ricerca di Grace. E la grazia, questo disperato bisogno d’amore che viene urlato contro gli specchi, rimane un richiamo vuoto, perché rimanda sempre e soltanto a se stessi. In un paesaggio di rovine, un mondo asettico, lunare, creato da Claudia Calvaresi, va in scena l’inferno dell’anima, e si rinnova il rito millenario del teatro, quello della presa di coscienza di fronte al dolore. Come nei drammaturghi greci, il dolore, la barbarie, l’annientamento dell’uomo, sono le tappe che l’individuo deve patire per la salvezza, per la grazia. “Non avere rimorsi”, ripete continuamente l’aguzzino Tinker, scava nelle stanze più profonde dell’animo umano, sembra dire. Alla fine dello spettacolo, quando si è compiuta la palingenesi moderna di Sarah Kane, ci si chiede chi siano i veri Purificati, se i personaggi in scena o il pubblico che ha assistito, e si torna a casa storditi, con il grido di aiuto di Grace ancora nelle orecchie.
[novembre 2004]
testo: Sarah Kane; regia: Marco Plini; produzione: Nuovo Teatro Nuovo di Napoli - La Biennale di Venezia; interpreti: Milutin Dapcevic, Silvia Ajelli, Roberto Salemi, Michelangelo Dalisi, Giuseppe Sangiorgi, Diego Sepe, Gaia Insegna; scene e costumi: Claudia Calvaresi; luci: Fabio Bozzetta; debutto: 36° Festival Internazionale Teatro - La Biennale di Venezia; in scena: Teatro India fino al 14 novembre.
