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Ritratti d’artisti

Pubblicato il 18 settembre 2002 da Alessandro Borri


Ritratti d'artisti

“Lusso” significa avere lo spazio e il tempo per pensare e per parlare delle cose che ci interessano, ci dice Tilda Swinton in un’intervista filmata da Luca Guadagnino e presentata nella ricca sezione Nuovi Territori. E nel corso di una Mostra del cinema inzeppata di appuntamenti con film in concorso, o contro-corrente, appare quasi un lusso il potersi soffermare su lavori che si concedono il tempo di riflettere su e con appassionanti personalità dello spettacolo.

Oggi abbiamo visto tre ritratti di artisti: di un’attrice inglese, di un regista americano e di un coreografo francese: Tilda Swinton - The Love Factory di Luca Guadagnino, Rosy-fingered Dawn - Un film su Terence Malick di Luciano Barcaroli, Carlo Hintermann, Gerardo Panichi e Daniele Villa e B comme Béjart di Marcel Schüpbach. Oltre all’ovvio interesse di parlarci delle personalità prese in considerazione, questi lavori rappresentano tre differenti approcci ai personaggi del mondo dell’arte: una videointervista risolta in una sola inquadratura a un’attrice che si esprime su soggetti svariati, un documentario che è anche un viaggio destinato alla scoperta del regista amato dei suoi tre film chiave e un lungometraggio che documenta la preparazione dell’ultimo spettacolo del coreografo del Bolero.

Girato all’Hotel Majestic di Cannes Tilda Swinton - The Love Factory ha come punti di forza una scelta registica semplice ma efficace - un’unica inquadratura di 33 minuti, un pp stretto del volto dell’attrice bagnato nella luce cangiante del pomeriggio che a tratti lascia emergere solo due splendidi, grandi occhi verdi immersi in una marea luminosa - e la lunga conoscenza che lega l’attrice feticcio di Jarman al regista Luca Gudagnino (il suo primo lungometraggio The Protagonist, a Venezia nel ’99, la vedeva protagonista) e permette alla Swinton di chiacchierare con il suo intervistatore accarezzando i temi più disparati: dalla differenza tra interpretazione e performance alla solitudine quale ultimo tabù delle società contemporanee. Rosy-fingered Dawn - Un film su Terrence Malick, opera collettiva insolitamente realizzata a otto mani è invece un film d’esordio in cui i quattro i giovani autori, ripercorrendo una pratica e una traiettoria inaugurata dai critici dei Cahiers du cinéma negli anni ‘50, attraversavano l’oceano per incontrare un cineasta venerato e al tempo stesso per andare alla scoperta del mitico continente americano. Articolato in tre parti, dedicate rispettivamente a La rabbia giovane, 1973, I giorni del cielo, 1978, e La sottile linea rossa, 1998 (i tre film che hanno costruito la fama del regista), il documentario vuole essere anche una riflessione su quei momenti fondamentali e fondanti della civiltà americana che attraversano l’opera dell’autore e un ritratto collettivo di tutte quelle personalità che vi hanno lavorato (da Sissy Spacek a Martin Sheen, da Sam Shepard a Sean Penn). Se abbandoniamo il cinema per passare alla danza, con B comme Béjart, è per seguire la preparazione dello spettacolo “Lumière”, un omaggio alla settima arte realizzato nel 2001 da un Béjart sempre in gran forma. La regia dello svizzero Marcel Schümpbach - autore di lungometraggi di finzione (L’Allègement, 1983, Les agneaux, 1985) e di documentari televisivi - lascia trapelare poco della soggettività e delle motivazioni del suo autore, ma non manca di momenti di interesse tentando di carpire il processo creativo di un artista che ostinatamente rifiuta di definirsi un creatore: “è un creatore colui che crea dal nulla, i creo a partire dei corpi dei ballerini, sono piuttosto un organizzatore”, sentenzia Béjart.

Un viaggio tonificante nel mondo del documentario sul cinema e sullo spettacolo scortati da una compagnia intelligente e appassionata.

[2 settembre 2002]


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