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ROMAEUROPA04:BR.#04 BRUXELLES/BRUSSEL - IV EPISODIO DELLA TRAGEDIA ENDOGONIDIA

Pubblicato il 28 maggio 2004 da Carla Di Donato


ROMAEUROPA04:BR.#04 BRUXELLES/BRUSSEL - IV EPISODIO DELLA TRAGEDIA ENDOGONIDIA

Roma, mercoledì 17 novembre, Auditorium Sala Petrassi. Un incubo. E non si dice per metafora, ma come risposta alla domanda: cos’è, o piuttosto: qual è la temperatura di quest’ episodio della tragedia?
Un incubo di marmo bianco e tremore subsonico della terra, all’interno della piccola sala Petrassi dell’Auditorium trasformata in un home theatre, ma rigorosamente dal vivo. E colpisce dritto alle viscere, ma senza mettere in moto un inferno di pensieri sulla nostra scatola quadrata che chiamiamo quotidiano, raggruma un inferno al neon, e basta, questa volta (ndr: nel 2003 la Socìetas aveva presentato a Romaeuropa l’episodio dedicato a Roma).
Un camerone di marmo, dalle pareti completamente levigate, quattro elementi (microrettangoli) bianchi di luce al neon sospesi al soffitto, una ragazza nera intenta a fare le pulizie in modo composto, lento, preciso, questo il primo quadro. Il secondo un neonato steso per terra che fa semplici versi da neonato, fin qui, tutto “liscio”, e allora a noi di qua dalla scena viene naturale iniziare a preoccuparsi seriamente, perché siamo in attesa che la Raffaello Sanzio..si manifesti!
Infatti, la tenda scura che si richiude la terza volta, oltre ad un sottile senso di tensione, di lieve inquietudine, al riaprirsi conduce con sé un robusto incupirsi di volume e timbro della musica originale di Scott Gibbons.
Parte Prima. Un vecchio con indosso solo un bikini floreale pluricolorato, batte, o invoca, le braccia flaccide, il corpo nudo cadente, stentate contro il muro, poi compie una vestizione lenta a partire da un costume di un capo religioso islamico con scritte coraniche fino ad indossare una divisa da poliziotto. Di lì a poco entreranno altri tre poliziotti ed inizierà un orrendo e dilatato nella durata, pestaggio compiuto dagli altri due a colpi di manganello, la cui eco rimbomba simile a quello di scosse elettriche amplificate dritte nel nostro timpano.
Il corpo della vittima del “sacrificio” gratuito, perfetto nel suo svolgimento con inizio, sviluppo (climax) e conclusione, in un’atmosfera sterilizzata che sublima in crudeltà raffinata, da seduto, invaso di liquido rosso con un microfono accanto, viene sbattuto a terra e chiuso in un sacco della spazzatura mentre lo stesso microfono registra la sua agonia. E sono parole spezzate, lembi di preghiera, il respiro che non trova aria, gli ultimi minuti di un uomo che sta per morire, che si divincola, si allunga, si stretcha, il tutto in diretta stereofonica.
Parte Seconda. Le figure-archetipo in nero della Raffaello Sanzio fanno dunque il loro ingresso, come simboli, il bambino vestito da damerino nero, la donna che perde i capelli, la ragazza nera che deposito quello che sembra un feto insanguinato vicino al sacco, una doppia lapide scura viene calata dal soffitto, il gruppo dei tre si stringe mentre la cerimonia raggiunge il suo acme: ormai la sala intera è pervasa dalla musica elettronica, è dentro le poltrone, tra le file di sedie, tra i sedili, tra l’uno e l’altro degli spettatori, che inchioda e divide, che unisce nel freddo, asettico rito dell’orrore, senza la minima traccia del pulp, ma solo di sé, del suo puro essere.
Fine. Il vecchio ormai spoglio, su un letto d’ospedale, con accanto una sedia con la divisa da poliziotto, si stende e scompare, muore davanti ai nostri occhi. Il velo nero lo copre, in trasparenza. Il damerino, il bambino senza faccia (il volto occultato da una maschera) posa il suo alto cappello sul letto: la morte ci ha raggiunti, chiudendo il suo cerchio.
Il progetto della Tragedia Endogonidia è composto da episodi ognuno concluso in sé, non c’è (apparente) connessione o sviluppo lineare tra gli atomi che la costruiscono: ciascuno è legato ad una città, ma questo legame, come conferma il regista Romeo Castellucci, non è determinante nella genesi creativa.
Allora cosa lo è?
L’idea del vuoto/horror vacui, potente, si situa, all’interno del viaggio extratemporale tra il mondo di domani, della memoria predittiva direttamente dal futuro e l’attualità (il presente), coagulato in un atto di contemporanea immolazione gratuita e priva di motivazione o causalità, nel cuneo che costruisce il discorso (o la sua sintesi) sul senso dell’oggi: un incubo, appunto. Senza nulla da spiegare.
Risucchiati dentro la caverna-stanza di purificazione e catarsi, oltre che di peccati, in cui la Socìetas traccia le sue traiettorie, le sue stratificazioni sonore, i suoi rebus, od enigmi provenienti dall’antico, rimaniamo attorcigliati come edere perenni al nocciolo dello spettacolo, sviscerati dalle maschere, di fronte all’agonia “in diretta” di un attore. Restiamo incapaci di mutilare quel link, che è sulla soglia, e forse un po’ più in là, della lotta ai limiti dell’umano.
La Socìetas regala un’istantanea dei nostri più neri inner-borders, guidandoci con il distintivo rigore e sacralità laica all’infarto del tempo concesso all’umanità.

[novembre 2004]

regia, scene, luci e costumi: Romeo Castellucci
composizione drammatica, sonora e vocale: Chiara Guidi
musica originale: Scott Gibbons
traiettorie e scritture: Claudia Castellucci
interpreti: Sonia Beltran Napoles, Claudio Borghi, Ivo Bucciarelli, Claudia Castellucci, Sebastiano Castellucci, Luca Nava, Sergio Scarlatella
produzione: Socìetas Raffaello Sanzio-Cesena, Romaeuropa Festival, Festival d’Avignon, Hebbel Theater-Berlin, KunstenFESTIVALdesarts-Bruxelles/Brussel, Bergen International Festival, Odéon-Théâtre de l’Europe con il Festival d’Automne-Paris, Le Maillon-Théâtre de Strasbourg, LIFT (London International Festival of Theatre), Théâtre des Bernardines con il Théâtre du Gymnase-Marseille
in collaborazione con: Emilia Romagna Teatro Fondazione-Modena e Musica per Roma Fondazione


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