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Saggio di diploma dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, Anastasia Sciuto porta in scena Le Onde

Pubblicato il 2 maggio 2011 da Laura Khasiev


Saggio di diploma dell'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico, Anastasia Sciuto porta in scena Le Onde

Si entra nella piccola sala del Teatro Eleonora Duse, immerso nel centro della capitale, fra le tante stradine che si incontrano e si mescolano ai lati della via principale, quella del Corso. Tutto ciò potrebbe far pensare ad un’atmosfera da tempi passati, soprattutto se si ha l’idea di stare andando a vedere una rappresentazione ispirata al testo della scrittrice Virginia Woolf, Le onde.
Titolo omonimo ha scelto la regita Anastasia Sciuto per lo spettacolo che ha curato in tutti i suoi particolari: dal testo alla drammaturgia, dalla scelta della scenografia alle musiche e alle modalità della rappresentazione. Ma si è subito si è riportati al presente, e dunque a qualcosa di lontano da quel passato che si pensava di ritrovare attraverso la scena...
Una proiezione è la prima immagine a cui il pubblico si trova di fronte: un telo bianco e immagini di luoghi confusi, che allontanano dalla realtà pur essendo viste attraverso un video, la più moderna modalità di rappresentazione, davanti al quale una ragazza racconta di sé. Così tutto comincia con un momento di intersezione delle arti: si lascia la realtà, si entra in un mondo che non è surreale ma profondo, quello dell’incoscio, dove il flusso di coscienza dà il via alle sue danze, senza consentire tregua a chi vi assiste, riportando visivamente tutte quelle che sono le frenesie della mente umana attraverso la recitazione e la messa in scena di sei personaggi, amici tra loro, che si ritrovano ad esser soli pur vivendo delle situazioni insieme. Costoro si muovono dunque in un “luogo” da intendersi nel suo senso figurato: ciò di cui ci serviamo per descrivere quello che si sta vedendo.
Tra loro poi si insinua una figura, anch’essa a metà strada tra sogno e realtà, che interseca il suo disagio con quello degli altri. A dar vita a questo personaggio è la regista/drammaturga, che permette così una doppia lettura rispetto al suo ruolo.
Lo spazio è fatto di più dimensioni e tiene la mente dello spettatore attenta ad ognuno dei piani rappresentativi. Sullo sfondo un quadro svedese, interessante metafora visiva, all’interno del quale i personaggi raccontano della loro vita. Ognuno di loro passa attraverso questi grandi quadri, come se ripercorrendo il passato volessero superare nel presente ostacoli che ancora si insinuano nella mente. I giochi che la regista ha ricreato nello spazio e attraverso gli attori sono emblematici di quel movimento che è solito animare la mente, condotto da pensieri che come individui si incontrano in meravigliose danze, talvolta difficili da sostenere per l’essere stesso, ma che senz’altro lo portano ad assaporare la vita sia nei suoi lati amari che in quelli più dolci.
Uno spettacolo che ha accolto dentro sé delle storie incompiute, non per mancanze, ma proprio per mettere il pubblico davanti all’incompletezza propria della vita, spesso difficile da rappresentare, da rendere visibile, e che la regista e gli attori hanno saputo riprodurre, soprattutto attraverso un’interpretazione intrisa di un’angoscia nascosta, tremante dietro le parole foderate di vigore e dietro a tonalità decise, eppure fortemente evocative di quel timore proprio dell’essere umano. Non a caso è un’ incompletezza che ci fa pensare a quei sei Personaggi pirandelliani...
Nel testo, così come nella resa scenica, tutto è coerente, tutto emana quel disordine cosmico che è proprio dell’universo così come della mente. I contenuti dichiarano quel senso di inadeguatezza e drammaticità che la Woolf si portava dentro, quel suo sentimento così controverso nei confronti della vita; ma la modalità con cui vengono espressi ricorda una scrittura drammaturgica che si snoda attraverso il flusso di coscienza, tanto caro a Joyce e a Svevo, modalità che viene traslata nel formalismo scenico di questa piéce. Una rappresentazione che probabilmente lega la regista non solo alla nota scrittrice alla quale si ispira, ma anche a Lucia Calamaro, altra regista della scena contemporanea, con la quale la Sciuto ha lavorato e da cui sicuramente ha recepito un’impronta che si è impressa su questa rappresentazione.
Da quanto dichiarato, inoltre, per questo lavoro si è fatto riferimento anche a Sara Kane e a Werner Shwab: entrambi drammaturghi morti prematuramente e volontariamente. Altro legame all’interno di questa rappresentazione, che non è esplicitamente visibile ma che risuona come gli altri, creando sfumature e contrasti che si intersecano tra loro, dando vita ad un suggestivo quadro scenico, evocativo di sensazioni comuni a tutti, davanti alle quali spesso ci si vuole coprire gli occhi, ma che sarebbe invece utile osservare.
A collaudare i tasselli dell’intero puzzle è la musica: Jim Morrison con la sua Indian Summer, alternato al Barbiere di Siviglia di Mozart e alle musiche composte da Sergio De Vito e dalla stessa regista, che ha voluto toccare con il suo gesto ogni singola parte di questa rappresentazione in maniera quasi ossessiva, che si lega corentemente con tutto questo lavoro.
Uscendo dal teatro non si ha in mano nessuna risposta; così come alla fine dei romanzi di Virginia Woolf anche qui si avverte il senso di vuoto e di non finito, ossia ciò che rende la vita insostenibile. Il caos prende il via con la sua danza e sta al singolo individuo decidere dove indirizzarlo...


(Le onde); Regia: Anastasia Sciuto; adattamento: liberamente ispirato da Virgiania Woolf;musiche: Francesco De vito, Jim Morrison, W. Amadeus Mozart, Anastasia Sciuto; video: Anastasia Sciuto; luci: Gianni Staropoli; costumi: Medile Siaulytyte, scenografie: Bruno Buonincontri; assistente alla regia: Alessandro Miringolo; interpreti: Diletta Acquaviva, Vincenzo D’Amato, Desy Gialuz, Massimo Odierna, Marco Palvetti, Fiorenza Potenza, Sara Putignano; teatro e date spettacolo: Teatro Eleonora Duse, dal 11 al 18 marzo; info:Saggio di diploma ANAD


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