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SCEMO DI GUERRA. ROMA, 4 GIUGNO 1944

Pubblicato il 28 settembre 2004 da Carla Di Donato


SCEMO DI GUERRA. ROMA, 4 GIUGNO 1944

Roma, Teatro Ambra Jovinelli, 18 gennaio 2005. Celestini canta nell’aria in dicitura poetico-dialettale e fa risuonare la memoria di un giorno, il 4 giugno 1944, la Liberazione di Roma, in un universo parallelo, dal suo “cantuccio” in scena chiuso sui tre quarti, dove la storia s’illumina grazie al racconto, o alla visione, di vite semplici, sotto i bombardamenti, in cui si può morire per una cipolla per rinascere in forma di Tradizione.
E’ un intreccio elaborato ma lineare, il tracciato narrativo dell’ultimo spettacolo di questo narratore unico, plurivoce, di tranches di episodi realmente ascoltati e registrati, inventati o ri-lavorati al lume di un’oralità a metà tra il vicino di tavolo all’osteria e il cantastorie che sa il mestiere e non annoia, ma incanta, fa ridere, seduce, fa centro al primo colpo.
Il padre aveva 8 anni quando gli americani liberano Roma, e accanto alla sua figura prende vita una poliedrica “società” di uomini e ragazzini che dovrebbe acquistare un maiale vivo e farlo a pezzi per poi dividersene ognun per sé le parti. Ma il viaggio da Porta Pia al Quadraro a piedi, il 4 giugno 1944, diventa un viaggio interstellare tra i plurimi mondi dei personaggi e delle loro storie parallele, veritiere e fantastiche. Lo scemo di guerra, l’autore della “smitragliata” che per un pelo non uccide il padre ragazzino mentre raccoglie la cipolla, inizia a dire la verità su quella guerra...ma poi ne racconta un’altra, come la vede lui, come vorrebbe che andasse, dove le scimmie combattono e sono colonnelli e da una matrioska esce la neve, l’unica proprietà che un soldato russo può donare alla sua bella.

Senza pause sceniche, tranne cinque o sei sorsi d’acqua, in un’ora e mezzo scarsa Celestini inizia a raccontare, come se si sedesse accanto allo spettatore, per dirgli con tono semplice, e a voce bassa, quella che è stata la guerra per chi sa parlarne solo attraverso il lavoro e l’amore, la merda e la terra da cui escono gli insetti, che quasi, sembra dire l’autore-attore, ci insegnano a capire come va veramente la vita, qual è il suo autentico corso, autonomo, oggettivo (straordinario l’excursus sul tema).
Colori, sapori, visi, misteri scorrono e vivono, lasciandosi scie che al termine Celestini abilmente recupera, in una girandola finale tematico/riassuntiva, e porta al capolinea: la voce registrata del padre, che racconta al figlio di quando è stata la prima volta che ha rischiato di morire, il 4 giugno 1944. Poi è morto davvero il 18 febbraio 2003: lo spettacolo è un omaggio di “teatro povero” a lui dedicato.
Urge il viaggio tra le minime particelle del sentire: a Roma, in questa fine gennaio, si può fare.

[gennaio 2005]

di e con Ascanio Celestini
produzione: Fabbrica, La Biennale di Venezia
prima rappresentazione: Venezia, Tese delle Vergini, 1 ottobre 2004

in scena: Roma, Teatro Ambra Jovinelli, dal 18 al 30 gennaio 2005


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