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Schermi animati o morte?

Pubblicato il 12 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Schermi animati o morte?

A dare una rapida scorsa ai risultati al botteghino di questo primo scorcio di stagione cinematografica non si può non rimanere colpiti dagli squilibri che l’hanno, fino a questo momento, caratterizzata.
A guidare la classifica, infatti, con già diverse settimane di tenitura (che in alcune sale è arrivata ben oltre un mese: un segnale di controtendenza in un paese come il nostro in cui una pellicola viene rimandata in magazzino e abilmente dimenticata già dopo il primo fine settimana) c’è Shrek terzo. Un’opera debole, questo terzo episodio che vede protagonista l’orco verde e i suoi inseparabili amici, abbastanza invisa dalla critica che le ha dedicato un’accoglienza tiepida ed indecisa, ma che conta sul dorato piedistallo dell’appoggio popolare di oltre venti milioni di euro di incasso, una cifra esorbitante a segnale di un numero di biglietti staccato da capogiro.
Al secondo posto, quattro milioni di euro più in basso, c’è un altro film d’animazione: I Simpson – Il film. Un prodotto decisamente più solido e compatto di Shrek, ma pompato dagli anabolizzanti del successo televisivo che, in genere, riescono a fare molta differenza.
Per arrivare al terzo posto, il più inaspettato, bisogna munirsi di un buon paracadute o di una di quelle corde elastiche con cui ci si butta dai ponti per provare, in tutta sicurezza, l’ebbrezza del precipitare nel vuoto. Il salto economico tra le due posizioni della classifica degli incassi è, addirittura, di tredici milioni di euro: un’enormità. E il film è una commedia di basso livello: Un’impresa da Dio che gongola tronfio dal basso dei suoi due milione e mezzo di incassi complessivi.
Quarta e quinta posizione se li contendono due commedie adolescenziali di grana non troppo grossa: Hairspray (che conta sulla promozione, anche nei trailers, del nuovo idolo per adolescenti Zac Efron) e Il bacio che aspettavo (che punta, invece, su un altro nome televisivo forse un poco più incisivo: Adam Brody da The O.C.).
Il primo film italiano d’autore è, a sorpresa, il sesto: La ragazza del lago di Molaioli che non arriva, però a due milioni di incasso complessivo. Vale a dire: un risultato lusinghiero, ma non tale da far gridare al miracolo.
Quali considerazioni si può trarre da questa prima infornata di dati? Innanzitutto che alcuni generi non funzionano più come una volta. Per trovare un thriller con venature horror (genere un tempo adorato dai teen agers) bisogna, infatti avventurarsi sino alla nona posizione di Disturbia, un remake hitchcockiano certo non impedibile e di scarso appeal presso il pubblico nostrano (Shia LaBeouf non è ancora diventato da noi una garanzia di incasso), ma comunque non indegno e capace di garantire un paio di genuini sobbalzi dalla poltrona. Poi, scavalcata la tredicesima posizione di Captivity di Joffe che resta opera abbastanza difficile da definire, c’è 28 settimane dopo, film cui il titolo non ha portato fortuna visto che si deve accontentare della ventottesima posizione.
Per il documentario (Sicko) bisogna aspettare l’undicesima posizione, mentre per i maestri riconosciuti (Rohmer) bisogna aspettare gli anta (quarantesimo appunto con un incasso gravitante intorno ai centomila euro).
I film veneziani, quelli presentati in mostra, con la sola eccezione di Michael Clayton (che conta sul richiamo Clooney) stanno tutti intorno alla ventesima posizione (Espiazione, Il dolce e l’amaro e Io non sono qui) tutti rigorosamente ed irreversibilmente sotto il milione di euro.
Il cinema che vince, mangiandosi tutto il resto, è quindi quello di animazione. E il quadro degli incassi ci restituisce la realtà di una nazione in cui, a smuovere le famiglie, a portare soldi al cinema, sono solo i capricci dei bambini in film che sono fatti di disegni, ma hanno appeal (nella loro scorrettezza politica) anche per i ragazzi.
Anche gli adolescenti che, fino alla scorsa stagione, erano uno zoccolo duro (Tre metri sopra il cielo e Ho voglia di te) disertano le sale con i film del loro idolo Scamarcio (Prova a volare è appena trentatreesimo con trecentomila euro di incasso in quasi due mesi: la fine di un fenomeno?). E le goliardate modello Suxbad destinate ad adolescenti maschi si accontentano del ventitreesimo posto (ma col doppio dell’incasso in un quarto del tempo di tenitura).
Questo quadro generale conduce ad una considerazione fondante che riguarda principalmente la realtà delle programmazioni delle monosale, visto che le mutlisale e i multiplex non hanno problemi nella scelta dei film. Per sopravvivere le vecchie sale cittadine devono dividersi necessariamente tra la programmazione di titoli d’essay (attraverso i quali possono accedere ai sovvenzionamenti previsti per la programmazione di qualità) e i cartoni animati (che garantiscono sufficiente apporto di pubblico). Ogni altra programmazione non può essere presa in seria considerazione come alternativa. Sulle piccole sale, specie se di provincia, si è abbattuto, con tutte le sue conseguenze, una sorta di cataclisma climatico che ha cancellato le “mezze stagioni”. La programmazione mensile di queste realtà è diventata, ormai, elementare: tre settimane consecutive di Shrek e una settimana appena di penitenza con Espiazione. Poi tre settimane di I Simpson – Il film seguite da una settimana di convalescenza con Sicko. Prossimamente non è arduo pronosticare tre settimane di tenitura di Ratatouille seguite da un breve periodo di ammenda con il nuovo Vanzina che aprirà le danze dei cinepanettoni con cui ognuno vorrà risanare le proprie magre casse.
L’agonia delle monosale (che passano dall’estremo del pienone per il cartone alle tre presenze a spettacolo per il film d’autore) è solo uno dei segni distintivi di una ben più complessa crisi culturale. Sancisce di fatto che, ormai, l’industria cinematografica italiana è diventata una realtà stagionale che punta tutto sugli incassi natalizi di prodotti di bassa lega e senza ambizioni d’esportazione. Ribadisce che la critica di casa nostra sta diventando sempre più una realtà giornalistica, legata al gossip e al divismo (come giustamente rimarcava Valerio De Paolis della BIM in una nota pubblicata sul Giornale dello spettacolo) e sempre più incapace di incidere sul gusto o di “uccidere” (come dicono i colleghi di Sentieri Selvaggi) le possibilità anche commerciali di film che, pompati meglio dagli organi di stampa, avrebbero potuto sperare in miglior fortuna al botteghino. A contraddirli bastano gli incassi dei vari Vacanze di Natale, mentre film dignitosissimi come l’ultimo Loach (premiato al Festival, ben recensito dalla stampa specialistica) si deve accontentare di poco più di trecentomila euro di incasso (trentaduesima posizione) quasi cinquantamila in meno dello stroncatissimo Cemento armato con Vaporidis, Crescentini e Faletti.
Si può probabilmente affermare che motivi scatenanti della crisi siano la consueta colpevole televisione (ora è il monopolio Sky). Oppure il fatto che gli adolescenti preferiscano scaricarsi da Internet i film perché lo schermo del telefonino è più comodo di quello grande della sala.
Fatto sta che individuare uno o più responsabili dello stato delle cose non cambia la situazione, né aiuta realmente a trovare vie d’uscita. Della crisi della cultura e del cinema italiano si parla da cinquant’anni e le argomentazioni non sono ancora cambiate. Bisogna smetterla di limitarsi a piangere miseria, smetterla di “cantare messe” coi soli soldi degli incassi di Natale, e puntare seriamente ad una soluzione più radicale. Che non può essere solo la prossima paventata apertura del nolo film anche ai dvd da proiettare al pubblico delle scuole e delle associazioni culturali che sembra essere solo un ultimo patetico tentativo per raschiare il fondo della botte legalizzando una pratica diffusa, illegale, ma che è stata, fino a questo momento, a costo zero.


Vignetta di Sara Ceracchi.
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