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SLEUTH

Pubblicato il 22 giugno 2012 da Raffaella Borgese


SLEUTH

Un filo rosso che da Bette Davis in Eva contro Eva di Joseph L. Mankiewicz ci conduce ad un altro, strepitoso, film dello stesso regista, con il quale chiuse la sua carriera da regista. Il film in questione è Sleuth del 1972, che significa “investigatore”, “segugio”. Il titolo originale ha il suo perché, ma in italiano gli è stato affiancato un incomprensibile Gli insospettabili ed è cosa risaputa che le distribuzioni nostrane fanno dei pasticci con i titoli stranieri, ma non si sa bene il perché. In alcuni casi, forse, è un tentativo di richiamo maggiore del pubblico. Solo che alcuni film non ne hanno assolutamente bisogno, come fu il caso di Se mi lasci ti cancello del 2004 con Jim Carrey, in originale Eternal Sunshine of the Spotless Mind. Per mantenere il significato intrinseco (se davvero fosse così necessario rititolare i film) è Eterna alba (con piccolo adattamento “splendore”) di una mente senza macchia, o che dir si voglia pulita, candida, che lancia un messaggio preciso, ma che con la scelta italiana è stato completamente stravolto, ma questa è un’altra storia. Joseph Leo Mankiewicz nasce, in una famiglia ebrea di origini polacche, in Pennsylvania. Dopo aver studiato alla Columbia University, lavora in Germania come corrispondente all’estero del Chicago Tribune. Quando nel 1928 torna negli Stati Uniti ottiene un posto come sceneggiatore alla Paramount, anche il fratello Herman si sta facendo strada in questo settore e sarà lui a collaborare con Orson Wells per la stesura della sceneggiatura di Quarto potere – Citizen Kane (1941). Joseph passa dalla Paramount alla MGM nel ruolo di produttore, nel 1943 arriva alla 20th Century Fox e finalmente nel 1946 riesce a ottenere la sua prima regia nel melodramma gotico Il castello di Dragonwych. Nel 1949 arriva il successo con Lettera a tre mogli, in cui descrive con caustico divertimento i vizi, le incoerenze e ipocrisie delle donne, vincendo l’Oscar per la regia e la sceneggiatura. Doppietta ripetuta poi con Eva contro Eva. Nel 1960 dirigerà Cleopatra. Un famoso scrittore di gialli, Andrew Wyke (Lawrence Oliver) invita nella propria villa di campagna, ricolma di giochi e trucchetti che ama tanto, Milo Tindle (Michael Caine) un parrucchiere di origini italiane, che sa essere l’amante di sua moglie. Sostenendo di non provare alcun interesse per quest’ultima, anzi ben contento a liberarsene in quanto anche egli impegnato con un’altra compagna, propone al giovane di inscenare a casa sua il furto di gioielli di alto valore per poterne entrambi trarne vantaggio: lui sarebbe risarcito dall’assicurazione e l’altro, con la vendita dei suddetti, garantirebbe alla donna l’alto tenore di vita a cui è abituata. Inizialmente perplesso Milo decide di accettare ed ecco che cade nella trappola, sapientemente e cinicamente organizzata dallo scrittore con il solo scopo di umiliarlo. Lasciando al piacere della visione la scoperta dell’intera intricata trama, si nota che torna di nuovo il tema del teatro, in questo specifico film più propriamente della recitazione, come perno del gran spettacolo della vita, nella quale tutti costantemente indossiamo una maschera per illudere e raggirare. Il film – il regista chiama direttamente in causa lo spettatore, ad interpretare il gioco di inganni per trovare la verità in quello che vede. Dopo la visione si rimane abbagliati dalla forza dell’interpretazione, si comprende il vero significato del lavoro dell’attore. La versione di Mankiewicz è una trasposizione cinematografica della pièce teatrale di Anthony Shaffer che ha scritto anche l’adattamento per il grande schermo e la particolarità è di avere in scena (perché è così che la si può definire, in quanto immediata è l’atmosfera teatrale, oltre all’unità di luogo, ossia la villa) per l’intera durata di oltre due ore, solo due interpreti. In realtà ci sarebbe un terzo protagonista (se gli si vuole riconoscere spazio) ed è appunto la casa, costruita con scenografie ricche, barocche, ogni angolo, ogni dettaglio è curato e straborda di particolari. Oliver e Caine: una coppia all’altezza dell’impegnativo duello intellettuale che si svolge tra i due protagonisti, superbi, non austeri, misurati al punto giusto. Le espressioni, i dialoghi formidabili e intelligenti, la gestualità, il tutto con un ritmo e un equilibrio ormai raro nel cinema di oggi. Neanche nel remake realizzato nel 2007 si raggiunge un equilibrio tale, comunque un buon film, con una gran prova d’attore per Jude Law nel ruolo che era di Michael Caine e quest’ultimo, invece, nella parte che era di Lawrence Oliver. Diretto da Kenneth Branagh, unico virtuale discepolo del grandissimo attore britannico, l’unico che poteva permettersi un remake all’altezza, ma nonostante anche una sceneggiatura scritta da Harold Pinter (ultimo suo lavoro prima di morire il 24 dicembre del 2008) il prodotto finale scricchiola e lascia un pochino l’amaro in bocca.


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