Slow Food Story (conferenza stampa)
Roma, 07/mag/2013. Al Cinema Quattro Fontane si è svolta la conferenza stampa dell’opera prima del regista Stefano Sardo, Slow Food Story, diario e insieme omaggio al grande movimento (oramai globale) sul valore gastronomico delle nostre tradizioni, nato da un piccolo paese del Piemonte ad opera di Carlo Petrini. Presenti uno dei produttori, Nicola Giuliano, il regista Stefano Sardo, Lella Costa, in veste di moderatrice, il protagonista assoluto e star dell’evento Carlo Petrini, e l’amico di sempre Azio Citi.
L’evento, svoltosi al termine della proiezione, si apre all’insegna del buonumore e di uno scambio di battute ironiche e complici tra Lella Costa e lo stesso Petrini; l’umorismo verte sulla figura centralissima del Carlin (così chiamato da amici e parenti), una figura simile allo Zelig, onnipresente sulla scena storico-culturale degli ultimi quarant’anni tanto da essere citato da Dario Fo tra i potenziali candidati al Colle, ond’anche tra i papabili. Petrini, un uomo capace di farsi artefice di una rivoluzione globale, l’incubo peggiore dei vari Mc Donald’s e Chicken Hut, ma anche show man, mattatore capace di trasformare le sue conferenze sullo Slow Food in autentici sketch, riportando con umorismo l’attenzione sul valore del cibo, anche quello economico; celebre la sua battuta su quanto il costo delle mutande sia superiore a quello del cibo che consumiamo.
Mai attuali come in questo momento le sue considerazioni sul potere della cultura contro l’oscurantismo politico:“...il cibo ha la capacità di ovviare allo sbandamento politico. C’è bisogno di nuovi paradigmi, il cibo ci insegna innegabilmente l’insensatezza di chiedere alla terra l’impossibile (scarsità dell’acqua, infertilità della terra, perdita di specie genetiche deboli); il tutto condito da una classe operaia inesistente (il tre per cento)". _ In un clima goliardico come quello delle cene della combriccola di Bra, da cui nacquero la voglia e l’impegno di un cambiamento attivo, si svolge un incontro che sembra marcato dalla curiosità intorno a questo personaggio unico, più che intorno al film stesso. E infatti il regista, cresciuto nel seno di questa famiglia fondatrice dello Slow Food prima e di Terra Madre poi, rivela l’imbarazzo di eseguire un’opera che fosse un documentario ma al tempo stesso un diario intimo, personale, popolato di volti familiari. “Questo film è un regalo- dice Petrini- pagato un pacco di Savoiardi!”, riferendosi evidentemente alla visita fatta alla madre del regista dopo il parto. Poi passa a spiegare quanta resistenza il movimento ha dovuto porre in atto per arginare la brama degli avvoltoi politici intorno allo Slow Food. La lotta di conflitto alla base del movimento andava salvaguardata, ed è evidente come la salvaguardia sia passata per un lavoro di specificità; “abbiamo operato nello specifico- spiega sempre Petrini- rispetto a una disciplina che era già complessa; la gastronomia è infatti l’insieme di zootecnia, economia politica, agricoltura e via dicendo, ma tutte queste cose nel ’900 sono andate perdendosi a favore di una autoreferenzialità gastronomica, concentratasi sul solo elemento del piacere”. Il land grabbing, nuova forma di colonialismo, insieme al circo mediatico sorto intorno al cibo (il nuovo impero televisivo del cibo) sono i temi che più sembrano sollevare Petrini.
Ma alla domanda “qual’era il suo cibo preferito quand’era un bambino?” sembra sciogliersi definitivamente:“Quello della nonna, poiché le nonne partecipano alla formazione del gusto più di chiunque altro. La nostra cultura vuole che la felicità sia nel dolce, e invece loro ti insegnano come stia anche nell’amaro!”.