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Wara no tate

Pubblicato il 25 maggio 2013 da Giovanni Spagnoletti

VOTO:

Wara no tate

Fino a che punto può spingerei l’onore e il senso del dovere? Qual è il limite entro cui può piegarsi la propria morale davanti ai compiti impartiti da autorità superiori? Sembra quasi riecheggiare temi di kantiana memoria Wara no tate, ultima fatica del prolifico Takashi Miike, ennesimo capitolo di una riflessione sui valori tradizionali della società nipponica sotto forma di pellicola di genere. L’adattamento del romanzo di Kazuhiro Kiuchi messo in scena da Miike ha infatti, per il regista, due grandissimi pregi: la possibilità di costruire una messa in scena coinvolgente da grande blockbuster e quella di riflettere su temi da sempre a lui molto cari. La narrazione ruota intorno ad un criminale, un inquietante assassino pedofilo, sulla testa del quale un parente di una vittima ha posto una taglia da un milione di yen. Sarà compito del poliziotto Kazuki Mekari e della sua squadra scortato fino al tribunale dove si celebrerà il suo processo mentre un intera popolazione cercherà di ucciderlo.

Bastano queste poche righe di trama per capire come il personaggio di Mekari altro non sia che una maschera, rappresentazione dei valori tradizionali della società giapponese oggi quasi dimenticati. Solo il protagonista infatti, illudendo quasi se stesso, appare ancora pervaso da quell’imperativo morale che, in nome del proprio onore, lo obbliga a portare a termine l’ingrata missione assegnatagli. Scortare Kiyomaru, reo confesso e compiaciuto, è compito spiacevole e gravoso che pone gli stessi agenti davanti a pesanti interrogativi. È sempre giusto obbedire agli ordini? Vale la pena rischiare la propria vita per un quella di un assassino pedofilo? Domande queste che appaiono prive di significato per Kazuki Mekari, la cui dedizione, il cui onore è più forte di qualsiasi altra argomentazione. L’atto stesso di porsi quesiti di questo genere è superfluo per chi sa di dover compiere un bene superiore. L’etica tradizionale, fatta di abnegazione e spirito di sacrifico, trasuda dalla pellicola di Miike costantemente in contrapposizione con l’etica corrotta della società nipponica contemporanea. In nome del denaro, di quel milione di dollari di taglia, infatti innocui cittadini si trasformano in potenziali assassini, giudici e carnefici. Nemmeno un briciolo di dubbio sembra passare negli occhi degli infermieri, dei pendolari, dei poliziotti che si scagliano su Kiyomaru e la sua scorta per togliergli la vita. La strada per Tokyo si trasforma così in un far west senza regole, metafora di un Giappone senza valori.

Questa profonda riflessione, dal retrogusto reazionario, è celata da Miike fra le pieghe di un action movie on the road spettacolare ed accattivante. Approfittando di un budget evidentemente assai cospicuo il regista costruisce sceme di massa, sparatorie, esplosioni e scontri degne del miglior blockbuster hollywoodiano. Mettendo alla prova le sue stesse abilità registiche il film appare come una crescente ricerca di situazioni improbabili e azioni sempre più complicate da dirigere. Dagli incidenti multipli sull’autostrada all’attacco ad un treno ad alta velocità, Miike sfrutta ogni possibilità immaginabile per metter in scena uno spettacolo trascinante ed avvincente che, al di la delle più profonde analisi e riflessioni, non può che appassionare.


CAST & CREDITS

(Wara no tate); Regia: Takashi Miike; Sceneggiatura: Tamio Hayashi, tratto da un romanzo di Kazuhiro Kiuchi; fotografia: Kita Nobiyasu; montaggio: Kenji Yamashita; interpreti: Takao Osawa, Nanako Matsushima, Tatsuya Fujiwara; origine: Giapponr, 2013;  durata: 125’


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