X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Speciale Clint Eastwood: Invictus

Pubblicato il 15 febbraio 2015 da Nicola Calocero


Speciale Clint Eastwood: Invictus

Invictus è l’unico film di Clint che prende il nome da una poesia: INVICTUS è il titolo latino che nel XIX secolo il critico Arthur Quiller-Couch impose ai profondi versi di William Ernest Henley per consentirne una pubblicazione in un’antologia da lui curata. Henley ebbe una vita difficile. Costretto ad un’inerzia cronica per una grave malattia ossea, vide il suo limite fisico come uno stimolo per andare oltre nella sua missione, per alimentare il suo orgoglio. Capì che solo la cultura avrebbe potuto salvarlo, dando decoro così ad una vita altrimenti incompleta.

Dopo questo cappello introduttivo diventa facile capire quanto questi versi dolorosi di intensa dignità servirono a Mandela per alleviare i giorni della sua prigionia. Diventato presidente, l’uomo simbolo della storia africana del secolo scorso, capisce che lo sport, ormai destinato dal villaggio globale a recitare la parte di veicolo prettamente commerciale, forse solo nella periferica latitudine del suo rinnovato Sud Africa può ancora osare l’ambizione di proporsi come momento epico. Il rugby è lo sport dei bianchi. Lo sport imposto dai colonizzatori. Allo stadio la nazionale è addirittura accompagnata dai supporter che ostentano la vecchia bandiera. Oggi ancora di più triste simbolo della pagina buia dell’apartheid. La nazionale che dovrà ospitare i mondiali del 1995 non è certo tra le favorite. Mandela intuisce però che una vittoria nel torneo più prestigioso nello sport fino ad ieri solo di elite, rappresenterebbe il momento necessario per costruire la nuova identità del paese. È qui che scende in campo anche Clint. Lo spunto qui illustrato di storia recente, diventa per il nostro regista la straordinaria opportunità per raccontare il profondo progresso civile di una nazione nuova che ha la vetrina per proporsi al mondo e alla storia. Nessuno come Clint fonde il tono epico con il più profondo spirito civile. Perché come Mandela, Eastwood prima di tutto è un uomo di grande orgoglio. Il regista californiano, molto tifoso della squadra di pallacanestro di San Francisco, che ha interpretato in uno dei suoi ultimi film, successivo ad Invictus, un procuratore di baseball che non si riconosce più nello sport senza anima dell’entertainment a stelle e strisce, coglie la radice più profonda dello sport meno americano che esista. Il rugby, lo sport che le colonie di oltre Atlantico hanno trasformato in un circo di gladiatori, è la disciplina di squadra per antonomasia. Non si può passare la palla ovale avanti mai. Bisogna procedere passo dopo passo, con fatica, tutti insieme verso la meta. Così il Sud Africa nelle sei settimane del torneo che lo pone al centro del mondo, proiettato verso la vittoria, con orgoglio costruisce una sua nuova dignità civile di nazione.

Prima dell’incontro decisivo, Mandela mostra alla squadra che rappresenta, e sta cambiando il paese partita dopo partita, il luogo del suo triste esilio. I versi di INVICTUS avvicinano i giocatori del film ai ragazzi di Flags our fathers e delle missioni deliranti e suicide del recente American Sniper. In questo orgoglio collettivo c’è appunto la grandezza di quel profondo spirito civile che ha sempre accompagnato Clint. È così anche il rugby diventa l’archetipo di un orgoglio che aveva l’America dei nostri padri e che oggi rischia di andare perduto. Tutto questo si sintetizza nel sublime dialogo finale tra il Madiba ed il capitano della squadra del Sud Africa campione del mondo. Uno scambio di battute che sembra uscire da uno dei più felici film di John Ford: Devo ringraziarla per quello che ha fatto per il suo paese, capitano - Dobbiamo ringraziarla noi, presidente, per quello che ha fatto per il nostro paese. Clint Eastwood sa benissimo che la guerra non rende il mondo migliore. Ma quella primavera di ormai venti anni fa, il vero sport ha reso il nostro mondo veramente migliore. E resterà un film a ricordarcelo per sempre.



Enregistrer au format PDF