Speciale Sporting Teen Drama - Make It or Break It

L’aria carica di tensione, gli sguardi ardenti degli atleti, la polvere di gesso, trafitta dalle luci dei riflettori, il sogno, la fatica, la competizione. Nella piccola palestra e nei grandi palazzetti delle Olimpiadi i gesti rituali delle ginnaste si ripetono sempre uguali, in una laica liturgia. Come Nastia Liukin o Shawn Johnson, Emily, Kaylie, Payson, Lauren, protagoniste di Make It or Break It, si preparano a scendere nella loro mischia. Atlete giovanissime, come la ginnastica impone, costrette a confrontarsi con le difficoltà di tutti i giorni e quelle imposte dai rigidi allenamenti. In fondo “Essere una normale teenager ed esser una vincitrice di medaglia olimpica non sono sempre la stessa cosa”.
È probabilmente proprio per questa peculiarità che, da sempre, gli autori televisivi hanno saccheggiato campi da football e tennis, palestre e piscine per caratterizzare i loro teen drama. Niente come lo sport infatti rappresenta meglio due degli elementi fondanti di quasi tutte le serie dedicate ai giovani made in USA: il sogno e la competizione. Le ragazze del The Rock, la palestra in cui si svolge il racconto creato da Holly Sorensen, non sono ragazze normali, “Non stanno cercando di entrare nella squadra delle cheerleader, stanno provando a partecipare alle Olimipiadi". Chi di noi non vorrebbe anche solo prender parte ad un’Olimpiade? Un sogno universale quello di una medaglia d’oro, come universali sono quelli delle vite dorate di O.C., dell’elegante way of life di Gossip Girl o del magico mondo di Beverly Hills 90210. Tutti desideri assoluti, immediatamente identificabili da qualsiasi spettatore, pure fantasie a cui restare aggrappati mentre i sogni di bambino svaniscono. Anzi, tanto più la società costringe i ragazzi a correre in fretta, a volere tutto e subito, a far finta di esser ciò che non sono, tanto più diventa necessario tenersi stretti quei desideri. Non è caso, infatti, che le protagoniste di Make It or Break It (seppur interpretate evidentemente da attrici di molto più grandi dei personaggi messi in scena) siano, quasi tutte, al limite dell’adolescenza e più giovani dei già giovani Brandon (16 anni nella prima stagione) o Dawson (15).
Il sogno, però, al The Rock significa anche sacrificio, sofferenza, fatica. Come tutti i buoni personaggi drammatici queste giovani promesse vengono continuamente messe alla prova. Oltre agli allenamenti, agli infortuni (espediente drammaturgico sempre presente), agli sforzi propri dello sport, le ragazze si trovano costrette a vivere un mondo completamente diverso dalle loro coetanee. Non possono amare né esprimere i sentimenti come tutte le altre. La loro vita dovrebbe finire lì, ai margini di una pedana, ai piedi di una sbarra o davanti alle parallele asimmetriche. Non si rinuncia a tutto questo solo per inseguire un sogno. Ed è qui che entra in gioco il secondo grande tema di ogni teen drama moderno: la competizione. La nostra società, per certi versi sempre più simile a quella dell’Estremo Oriente (fondata sul binomio alinenazione/competizione), sembra ormai voler porre i giovani in perenne conflitto fra loro. In ottica positiva si potrebbe pensare che un comportamento del genere tenda a sviluppare le capacità di tutti, migliorando i loro risultati e preparandoli a un futuro mercato del lavoro. Ma la realtà non è così semplice. Il senso di alienazione, la solitudine, l’insicurezza provocata da questa estrema competitività trasformano la realtà in un inferno (la metafora della scuola già in Buffy era più che evidente). La gara fra Payson Keeler, costretta a sopportare il dolore di un infortunio pur di gareggiare e vincere, e Kelly Parker manifesta così quest’esigenza di primeggiare. L’immagine che restituiamo, e che traspare anche da una serie semplice come Make It or Break It, è quella della realtà di una società pronta ad accogliere ed osannare i vincenti e, al tempo stesso, capace di trattare come reietti gli sconfitti. Dalle ragazze di Sorensen, dalle scelte che impone il loro allenatore e dalla volontà dei loro genitori, appare evidente come l’unico obiettivo, l’unico modo per esser accettati, è la vittoria. La vittoria a qualsiasi costo. Vista così l’aria carica di tensione e gli sguardi ardenti degli atleti assumono tutto un altro significato. Un significato su cui, prima o poi, sarebbe il caso di riflettere.
