X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



SPETTRI

Pubblicato il 7 febbraio 2005 da Leonardo Gliatta


SPETTRI

Il direttore della Biennale Teatro di Venezia, Massimo Castri, porta all’Argentina il prototipo della “tragedia borghese”, Spettri di Ibsen, e aggiunge un altro tassello al suo percorso di esplorazione del mondo ibseniano, dopo Rosmerholm, Hedda Gabler, Il piccolo Eyolf e John Gabriel Borckman. Se nei primi anni Ottanta l’idea di Castri delle messe in scena del drammaturgo norvegese era ancora quella della “commedia” come struttura profonda, autentica, dell’opera ibseniana, a partire da Il piccolo Eylof la sua regia è ritornata al testo con un contegno e una dignità da sacrario, rinunciando ad ogni lavoro drammaturgico e “manipolativo” del dettato ibseniano. Il salotto borghese della signora Helene Alving (di statura superiore persino alla Nora di Casa di bambola, e più rivoluzionaria, per certi aspetti, de La donna del mare) è la quintessenza dell’universo familiare rassicurante, scene e costumi lignei, ombrosi (nonostante le quinte si aprano su una serra illuminata da una luce azzurrina), che esaltano, paradossalmente, ancora di più il potenziale esplosivo dell’interno borghese. Accanto alla figura monumentale della signora Alving (la Occhini non fa rimpiangere l’infortunata Moriconi), tenacemente aggrappata alle apparenze e votata al sacrificio di sé, emerge la vittima sacrificale, il vero agnello che eredita il marcio paterno, il figlio Osvald tornato da un lungo viaggio di formazione in Italia e Francia, intellettuale e artista demonizzato dagli strali dell’ipocrisia catto-borghese. E’ questo ciò che sta a cuore alla regia di Castri: l’indagine del rapporto psicanalitico tra madre e figlio. Tutti gli altri personaggi sono ritratti meschini, pennellati con garbo ad interpretare lo squallore delle convenzioni e dei vizi di una società insalubre. La scena clou, il cavallo di battaglia di grandi mattatori tra Ottocento e Novecento, la follia improvvisa - o meglio la demenza ereditaria - di Osvald, viene risolta nell’eterno conflitto freudiano fra Edipo e Giocasta, così da far assurgere il dramma alle dimensioni di una tragedia greca. L’invocazione al sole, battuta conclusiva in cui l’attore di turno “caracollava”, diventa una regressione all’infanzia che segna il ripristino del controllo materno sulla psiche del figlio, accantonando ogni enfasi e coup de théatre alla vecchia maniera.

[febbraio 2005]

Spettri di Henrik Ibsen; traduzione: Anita Rho;

regia: Massimo Castri; scene e costumi: Claudia Calvaresi; luci: Gigi Saccomandi; musiche: Giancarlo Facchinetti; suono: Franco Visioli; interpreti: Ilaria Occhini, Luciano Virgilio, Alarico Salaroli, Pierluigi Corallo, Irene Petris; produzione: Teatro Biondo Stabile di Palermo; in scena: Teatro Argentina dal 15 al 27 febbraio.


Enregistrer au format PDF