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TANZ IM AUGUST - ’DESH’ - di DE KEERSMAEKER

Pubblicato il 12 settembre 2005 da Paolo Sanvito


TANZ IM AUGUST - 'DESH' - di DE KEERSMAEKER

BERLINO - TEATRO HAU1 - 25 - 27 agosto

Desh è il termine antico, usato tradizionalmente in hindi per “terra”, “patria”. Il culto induista ha ispirato l’ultimo lavoro di Anna Theresa de Keersmaeker; si basa su una raccolta di canti e testi sacri induisti, in particolare descriventi gesta di dei, e mentre il cantante intona questi canti di forte intensità la coreografa, con l’accompagnamento alternato di Marion Ballester e Salva Sanchis, forse per ispirazione diretta derivata dal significato dei canti, forse solo sotto l’impressione immediata della loro musica, improvvisa delle scene di vero e proprio pas de deux, sebbene questa definizione molto occidentale non si adatti a descrivere quanto vediamo. Da attenta lettura delle dichiarazioni della coreografa su questo spettacolo si evince comunque che c’è una narrazione al suo interno, e che è fortemente legata alla relazione di amore tra gli dei. Il respiro dei danzatori è intensissimo: anomalmente rispetto alla consuetudine (il suono del respiro è generalmente coperto dalla musica di accompagnamento alla danza), a causa del basso volume del canto di Ustad Sayeeduddin Dagar possiamo ascoltare con attenzione con che ritmo essi prendano fiato, senza che ci sia intenzione di mascherarlo, e questo ricorda ancora una volta tradizioni indiane, per esempio la “cultura del respiro” nelle tecniche di meditazione. E la polvere sollevata dal movimento durante la performance, in quantità ingente ed evidentemente artificialmente posta sulla scena prima dello spettacolo, sembra a volte di colore verde: come spiegato dal musicista, questa polvere fa riferimento a quella che si trova nelle strade dell’India. La performance si fonda per sua gran parte su una sorta di sovrumana liberazione del movimento, la rapidità, la dilatazione nello spazio e l’armonia tra loro delle invenzioni coreografiche è estrema e sembra obbedire ad una legge di natura, a qualcosa di sovrannaturale cui gli esecutori della danza semplicemente, con compiacenza, soggiacciono e anzi, ad ogni movimento, ulteriormente potenziano. C’è un vorticoso impeto nello stile di “Desh”, una estrema liberazione e scioglimento delle membra che nella loro dinamica sembrano dimenticarsi dell’esistenza della legge di gravità. Anche peculiare è la intensità dello sguardo, durante la danza, di Anna Theresa, che instaura un dialogo muto di grande forza e intensità con il pubblico, spesso collocata a solo un metro dalla ribalta e come se stesse per spiccare il salto verso la platea. In questo brano non esiste Beliebigkeit, casualità né abbandono, indifferenza nella scelta del movimento, né indulgenza al mero piacere; quasi non c’è neppure molta facilità esecutiva, nonostante la turbinosità del movimento, piuttosto una estrema severità, gravità, o solennità: ma d’altronde il suono su cui si danza è proprio un canto sacro, e l’espressione dei volti è piuttosto eloquente quanto alla serietà dell’azione, che sia una precisa narrazione, come sembra che in effetti sia (alla sua base ve n’è una precisa, determinata dal racconto mitico hindu degli amori tra gli dei) o che sia pura azione scenica agita senza riguardo per la sua trama. Nel secondo raga la musica è molto sensuale e suadente, si direbbe, nei limiti di quanto sia applicabile questa categoria occidentale alla musica indiana, un “cantabile”: ma mai dolciastra, seducente, o ammiccante. “at any cost please show your face”, salmodia ad un tratto il cantante e capiamo che si riferisce ad una delle danzatrici che infatti ha il volto rivolto verso il fondo della scena, e intuiamo che si trattaa di un momento cruciale della narrazione, forse quello di una dichiarazione d’amore verso la persona che nasconde il volto? Anna Theresa e Marion, mentre danzano, si guardano negli occhi e così facendo si “intonano”, ma non danzano mai al perfetto unisono, nonostante una forte prossimità ad esso: quindi, deduciamo, ad evidenza questa deve essere un’improvvisazione. Anche se tendenzialmente danzata in unisono (il che è certamente una singolarità: una cosa esclude in genere l’altra). Ad un certo punto, a fase progredita dell’improvvisazione, ci squadrano con intensità tutte e due, e il senso che si legge sui volti è apprensione, quasi cruccio: subito dopo le due danzatrici ingaggiano le proprie mani a reggere sul loro palmo qualcosa di invisibile, che con un gran soffio ci fanno volare addosso. Cos`è stato, uno spirito - o la loro anima? Le luci si spengono. Il terzo brano ha qualcosa di un rituale pagano, sulla scena si muovono come se danzando stessero anche compiendo un rito, una specifica operazione. Sussiste una certa disparità, nel quarto, tra il livello di perfezione della danza mostrato da Anna Theresa e Salva Sanchis, che, per di più da solo, non regge la scena al pari delle due colleghe. Uno strano connnubio e una inspiegabile discontinuità tra brano e brano.


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