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Tanzimaugust – Anna Teresa De Keersmaeker e Ann Veronica Janssen: Keeping Still (Parte I)

Pubblicato il 4 ottobre 2007 da Paolo Sanvito


Tanzimaugust – Anna Teresa De Keersmaeker e Ann Veronica Janssen: Keeping Still (Parte I)

Berlino, Radialsystem – Si entra in uno spazio, la maggiore sala del Radialsystem, a luci ancora accese, ma appena il pubblico è seduto si piomba nella più fitta oscurità, che più fitta non si può. In questa condizione si resta, con la sola debolissima luce, in fondo a tutta la sala, di ciò che sembra una lampada di sicurezza, anche essa però più affievolita del solito, e i pochi fotoni si disperdono nei primi metri, lontano dal pubblico. Poi tutt’a un tratto un riflettore appositamente predisposto si accende, ma per illuminare solo una fascia di luce della larghezza di forse 25-30 cm. Quando quindi i due performers (Anna Teresa e Robert Steijn) incontrano questo raggio, allora finalmente li vediamo, o ne vediamo la sagoma controluce – in quanto essa viene tagliata dal raggio. A questo punto ci rendiamo conto di una singolartià della percezione, che altrimenti non sarebbe osservabile: il passaggio di raggi di luce estremamente concentrati all’interno di uno spazio completamente oscurato ha per effetto non realmente di rendere illuminati e quindi visibili gli oggetti sui quali la luce si posa, bensì al contrario, se i raggi provengono dal fondo, precisamente dal retro delle figure stanti all’interno dello spazio, ciò che si vede non è tanto la luce e quanto la riflette, quanto la gigantesca ombra proiettata dalle figure stesse. E il risultato percettivo, del tutto paradossale, è che si vede esattamente tutto ciò che si trova all’interno dell’ombra, del suo cono proiettato. Gli occhi possono finalmente riposarsi su un effettivo oggetto della scena, laddove fino a poco prima tutto era o tenebra, o abbaglio. E´ un’osservazione apparentemente solo fisica; ma anche poetica, perché questo fa riflettere su fatto che tutto ciò che vediamo, il nostro mondo, è, sí, conoscibile grazie alla luce che lo inonda; ma che proprio là, dove la luce viene bloccata dalla materia opaca, comincia effettivamente la vita, mentre nel puro vuoto illuminato essa non avrebbe né senso né fruibilità. Il suono accompagna il brano fin dall’inizio – la curatrice Bettina Masuch ha di recente fatto riferimento all’uso della musica e al suo rapporto con il movimento nelle posizioni dei coreografi contemporanei, un rapporto in cui i giochi non sembrano unidirezionali. Nella tenebra iniziale, sentiamo il discorso di un infante, che descrive in fiammingo qualcosa – piuttosto confuso, ma la parola più ricorrente del discorso è “mooi”, “bello”. E´ evidente che si lavora sul rapporto originario tra umanità e creazione, e questo viene suggerito nel modo più elementare, più istintivo. Un problema gnoseologico, oltre che drammaturgico, si impone: da dove nasce il giudizio sulla bellezza nella nostra mente vergine, e come esso eventualmente viene sconvolto – nessun essere umano può dire, durante la sua maturità, “bello” nello stesso modo incisivo, addirittura conturbante in cui lo dice quel bambino. Una donna, sempre nel buio, canta a se stessa, ovvero non in tono da audizione, ma solo per la propria percezione, un brano di Wagner dedicato alla Terra. La sentiamo grazie al microfono a corpo. E’ Anna Teresa, che canterà a più riprese fino alla fine della sua coreografia, dimostrando inotlre una capienza polmonare incredibile: cantare Wagner e contemporaneamente danzare, anche in velocità è forse la sua più speciale performance. La nostra attenzione viene comunque riorientata verso la Terra, la grande cosa su cui, mentre le pensiamo, stiamo seduti a guardare la danzatrice: una ulteriore voce di donna ci recita, questa volta in comprensibile inglese, gli articoli dell’earthcharter Carta della Terra, www.earthcharter.org, e li fa ripetere ad un bambino (forse lo stesso?). Ora sappiamo chi è il nostro interlocutore, Terra, e dobbiamo riflettere sulle ragioni nostre, sulle sue. I due performer Steijn e De Keersmaeker si attraggono e si respingono, in un racconto molto intenso, di cui non intravediamo la trama ma ci mantiene in tensione. Più tardi, a conclusione del brano, siamo invitati a guardare fuori della finestra, verso la lontana riva della Sprea che fronteggia il teatro e che è visibile, arte come finestra del mondo, una volta aperti i grandi finestroni: su quella ghiaia c’è una società gioconda, i cui membri si invitano reciprocamente a danzare in pas de deux, fondamentalmente danze di società e quindi di seduzione. E’ un momento sentimentale, ma senza sentimentalismo. L’amore fiorisce sulla Terra? Si potrebbe pensare, vedendo la sua messa in scena, ma la nostra è una percezione monca, senza l’udito, che rende questa scena astratta come un’allucinazione o un dipinto. E nessuno ancora sa come fiorisca, ne prendiamo comunque almeno atto.
Luci, idee scenografiche, interazione interno del teatro/esterno-città e fiume, tutto questo è nato dalla collaborazione di Rosas con l’artista visuale Ann Veronica Janssen, vista e ben accolta nella penultima Biennale di Venezia come rappresentante del padiglione belga, che si è sempre interessata ai temi della percezione, del vuoto, del conflitto tra la materialità/immaterialità, finitezza/infinito. Con questa produzione anche ha messo in gioco il nuovo medium del teatrodanza. Lo spettacolo finisce poco dopo (con un a solo di Anna Teresa), e ci dà l’impressione, invece di aver mostrato semplicemente l’artificio dell’arte, di averci fatto approssimare di più al centro della vita.

[ottobre]


Con la partecipazione di Mister United alias Frans Poelstra - Deejay Sorry alias Robert Steijn
Canto: Das Lied von der Erde (Der Abschied), Gustav Mahler, singing Kathleen Ferrier diretta da Bruno Walter, esecuzione Wiener Philharmoniker (1952); e improvvisato da ATdK.


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