TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

CENERENTOLA - Un allestimento “storico” da diversi punti di vista è andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma una settimana fa, la celebre Cenerentola di Prokofiev del 1943-45, nella versione coreografica di Alfredo Rodriguez (Scala, 1955) rivisitata da Loris Gai (1973) e infine da Carla Fracci. Dunque un’opera che già ha segnato la storia del balletto nel secolo scorso, ma che è inoltre, nella sua versione attuale, una riesumazione di una celebre coreografia. Con attenzione nelle scelte di programmazione, Gelmetti ha voluto, attraverso la Fracci, che un cast di riguardo tornasse a Roma: Giuseppe Picone, per esempio, nel ruolo del Principe, è ormai un riconosciuto interprete della danza di genere sia classico, sia contemporaneo (ha lavorato anche con Forsythe). Si alternano nel ruolo di Cenerentola Evgenia Obraztsova e Laura Comi, nel ruolo del Principe il citato Picone e Mario Marozzi, la Fata buona Madre è interpretata da Carla Fracci; per il resto l’esecuzione è interamente dell’orchestra e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera.
Totalmente nello spirito prokofiano, l’allestimento di Rodriguez/Fracci riprende elementi fantastici e onirici di grande impatto e impeto: le scene, imponenti e si direbbe lussuose, montano dei veri e propri castelli di edifici, sono accompagnate da animali (cavalli) forse già ispirati all’antico Futurismo che tanta parte ebbe nel secolo scorso in Russia. D’altronde a questo proposito conferme si trovano nelle parole dell’ideatore di questa “fiaba danzante”, il compositore Prokof’ev che lavorò evidentemente a stretto contatto con gli altri artisti dello staff dell’opera moscovita: ’’Di grande importanza per me il soggetto fiabesco che rendeva il compito di compositore molto interessante: la misteriosa fata-nonna e i fantastici dodici nani che balzano fuori dall’orologio battendo il ritmo e ricordando a Cenerentola che e’ tempo di rincasare; il rapido cambiamento dei vari paesi in cui giunge il Principe cercando Cenerentola; il vivo poetico respiro della natura interpretato dalle fate delle stagioni e dal loro seguito .” Tutto questo (comprese le stagioni) è ancora percepibile nella versione nostrana, che non ha perso quindi nulla della sua energia originaria. Bellissima la visione allucinatoria/sognata della Piazza Rossa, riconoscibile come luogo reale di riferimento, ma allo stesso tempo trasfigurata.
Inoltre si ritrovano anche altri caratteri della produzione così come desiderata originariamente dal primo cast russo: l’oscillazione tra reale, e anche triviale quotidiano, e immaginario. Ancora Prokof’ev scrive: “Ma gli autori del balletto desideravano che gli spettatori vedessero in questa cornice fiabesca personaggi realistici dai sentimenti vivi”: infatti il linguaggio gestuale non è astratto, ma estremamente interpretabile realisticamente, riuscendo di grande forza comunicativa, e travalicando il linguaggio stesso classico della danza pur presente. Bellissimo il momento in cui la fata-nonna suggella con un gesto sacrale, si direbbe tantrico, l’amore eterno del principe e Cenerentola. La musica sottolinea solo questi momenti. Esilarante poi il linguaggio mimico delle sorellastre, studiate evidentemente dalle interpreti con grande sensibilità; ancora, è singolare e rinfrancante la scena in cui si imitano le scimmiette, alla festa del Palazzo.
Per un allestimento di questa portata, in un teatro che è comunque tra i primi nel Paese e per l’inventività delle trovate e delle idee interpretative e registiche, ci sarebbe in realtà da rimpiangere che Cenerentola meriti solo cinque repliche in un lasso di tempo molto breve; ma c’è ancora da sperare in un’Italia che ha già dato il primo colpo di grazia agli enti operistici tramite la loro privatizzazione?
[10 Novembre]
