Televisionarietà - Flics

L’universo poetico di Olivier Marchal è un buco nero di sofferenza e dolore. Il suo immaginario cinematografico si appoggia ai classici del poliziesco e del noir, facendo leva sulle figure e gli stilemi più caratteristici del genere, precipitando un mondo confinato alle giungle d’asfalto americane nel cuore di Parigi, ritornando al numero 36 del Quai des Orfèvres del suo secondo lungometraggio, dopo l’omaggio alla città del cinema poliziesco francese nella Marsiglia di L’ultima missione.
Qui l’ex poliziotto Marchal sfodera le sue ossessioni: un passato che non muore mai nell’anima dei protagonisti, e li lacera interiormente sino a diventare una bussola che ne orienta i comportamenti nel mondo esterno, a contatto con nuovi casi, con nuovi membri della squadra.
Il nuovo polar francese appare segnato soprattutto da questa temporalità interiore, che segue un ritmo diverso da quello dell’universo circostante, coniugandovi però una predilezione per l’action, uno stile di ripresa dall’impatto fisico cui non sembra estranea la lezione di Luc Besson.
Tratti facilmente rintracciabili in questa miniserie in quattro puntate sapientemente accaparrata da Fox Crime che la manderà in onda a partire dal 13 luglio, a poca distanza dall’anteprima del RomaFictionFest.
Se le atmosfere cupe sembrano più debitrici de L’ultima missione, la trama pare invece riallacciarsi alla sfida senza regole tra i poliziotti Daniel Auteil e Gérard Depardieu in 36: nei protagonisti Victor Yachvili (Frédéric Diefenthal, già in Taxxi, scritto da Besson) e Boris Constantine (Yann Sundberg, da Transporter 3, comunque con Besson in veste di sceneggiatore) rivive la stessa ostilità della coppia cinematografica, in virtù di trascorsi ben lungi dall’essere dimenticati e archiviati.
L’ossessione per questo passato revenant, carico di fantasmi e pesi dolorosi è esplicitata nell’incipit: un flashback antecedente di cinque anni il piano del racconto, in cui la squadra dell’anticrimine, capitanata dall’algida Léa Legrand (Catherine Marchal, già protagonista de L’ultima missione) perde un uomo nel conflitto a fuoco col criminale Serge Oriou.
La breve sequenza prende subito le forme della tragedia classica: il collega ucciso è fratello di Yachvili e le pallottole lo trafiggono perché Constantine non gli copre le spalle, rimanendo immobile, spalle al muro, come paralizzato. Il commissario Legrand interviene riuscendo a colpire a morte il fratello di Oriou, ma perdendo a sua volta una gamba e mettendo in moto la vendetta del criminale, che anche cinque anni dopo giura eterna vendetta. Fratello per fratello, occhio per occhio. Il motore dell’azione è questa atavica punizione, che rende i personaggi del dramma l’uno la nemesi dell’altro.
Proprio per la sua dimensione melodrammatica, unita allo spirito action della messa in scena, Flics – già il titolo è profondamente malinconico nel suo minimalismo, oltre a omaggiare il Melville di Un flic - dà vita a un mélange di generi ricco di debiti cinefili e ad alto tasso emotivo, che sfiora più volte, come del resto accadeva in L’ultima missione, una retorica sulla dannazione del poliziotto che può apparire datata ma si configura indubbiamente come la cifra stilistica dell’autore Marchal, il cuore della sua poetica, intessuta di primi piani dolenti sui volti dei protagonisti, piegati dalla vita.
È un cinema, e ora una tv, decisamente controcorrente rispetto agli standard contemporanei, alla loro velocità che replica i ritmi della società. Benché, come si riscontrava, anche qui l’azione non manchi, è certo l’atmosfera crepuscolare, da blues, a caratterizzare l’opera e a distinguerla dai vari serial polizieschi.
Dopo aver toccato diversi registri del giallo, quello più esoterico con Dolmen, il procedural con la versione parigina del format Law&Order, interpretata da Vincent Perez, la serialità francese crea un nuovo sottogenere, un “tele-noir”, e lo fa con una miniserie che potrebbe imporsi, al di là del gusto personale, come un punto di riferimento per il poliziesco televisivo.
