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Televisionarietà – Trapianti. Destini incrociati

Pubblicato il 16 ottobre 2011 da Marco Di Cesare


Televisionarietà – Trapianti. Destini incrociati

Rappresenta un po’ una sorta di anti-televisione contro il tipicamente minuscolo italico schermo, questo progetto firmato Magnolia Doc, giacché Trapianti non è l’ennesimo esempio dello scempio imperante nella tv del dolore quanto, piuttosto, un modello per una tv sul dolore: difatti non esalta la vita e le sue storture nei modi di tante altre trasmissioni che - implicitamente, pur apparendo come se seguissero la strada opposta - preferiscono narrare dell’impossibilità alla vita, ossia di una crescita e di un cambiamento che divengono impraticabili, poiché la realtà viene seppellita sotto le macerie di una più che strisciante e infingarda virtualità che tutto rende simile, se non uguale. A causa di ciò non si può - e forse neanche si vuole - contare sulla capacità di astrarre, pure partendo da una simulazione che, perlomeno, potrebbe ampliare e rendere più astratto un qualsivoglia discorso che si vorrebbe eventualmente proporre. Viceversa troppo spesso ci si arresta di fronte alla prima possibilità di mostrare uno shock estemporaneo, che sia un urlo bestiale in un’arena come certe lacrime che spesso scorrono troppo facilmente, più o meno bugiarde, date in pasto a quel Moloch che, perlomeno nelle intenzioni degli autori, dovrebbe essere - o forse è - il ’grande pubblico televisivo’.
Al contrario Trapianti sa nascondere, più che mostrare, e, grazie a questo suo atteggiamento, sa compiere un tanto desiderato ritorno a quella vita e a quella realtà che in altri palinsesti vengono oramai da tempo negate, senza che però lo spettatore sia qui invogliato a spiare attraverso il buco della serratura, mantenendo, anzi, un riserbo che quasi sembrava essere andato definitivamente perduto. Così (quel)la realtà viene guardata con entrambi gli occhi, osservata con il distacco che le è dovuto affinché possa essere seguita - oltreché minimamente ’compresa’ - senza che ciò, peraltro, riesca a impedire il crescere di un’assidua e commossa partecipazione e meraviglia, guidate da uno sguardo lucido e mai facile che esige rispetto, meritandolo appieno.
Perché qui in modo particolare scotta la materia portata in scena, in un’epoca nella quale la riproposizione della ’realtà’ più estrema non sa quasi più fin dove spingersi, spesso vogliosa solamente di creare scandalo e, quindi, interesse intorno a sé, in un funesto gioco al massacro delle menti di tanti ’sfortunati’ e pigramente passivi spettatori. Soprattutto quello che qui si fa notare e apprezzare, in questa creatura messa al mondo da Claudio Canepari (già autore di Reparto maternità), sono i toni che vengono utilizzati, veicolati tramite il formato della docu-fiction.
I destini che si incrociano in Trapianti sono quelli di chi ha perso la vita e di altri cui la vita – o un’esistenza migliore - verrà restituita grazie al dono di un organo. Storie meravigliose e toccanti ambientate nel padiglione di Chirurgia dei Trapianti di Fegato e Multiorgano del Policlinico di Sant’Orsola a Bologna, sotto l’attenta regia di una delle massime autorità del pianeta in tale campo: ossia il Prof. Antonio Pinna, il primario con la sua equipe (formata, tra gli altri, dal Prof. Gianluca Grazi, dalla Dottoressa Maria Cristina Morelli e dal Dottor Luca Ansaloni, senza dimenticare gli anestesisti e i vari specializzandi). Ovviamente tra le corsie dell’ospedale, adagiati sui letti, incontreremo i malati, più o meno gravi, quelli colpiti da problemi improvvisi e altri chiamati dall’ospedale quando sembrerebbe giunto il momento per il trapianto atteso da mesi. Sempre, però, che l’organo di cui necessitano si trovi in buone condizioni.
«Nel 2007 sono deceduti trecentocinquanta pazienti in lista d’attesa» dirà Pinna a una platea di colleghi, in #1 (Io non mi arrendo). Ed è stato proprio questo il motivo (una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema) che ha spinto il Professore ad accettare di essere seguito da una troupe. Le cui telecamere si muoveranno libere eppure alquanto pudiche, senza inutili invadenze e senza esagerare con lo zoom quando l’obiettivo andrà a posarsi su volti sofferenti oppure speranzosi, tuttavia capaci di toccare chi li sta guardando. Mentre i materiali girati sono stati raccolti in episodi, in ognuno dei quali sono esposti temi specifici, avvicinando, in siffatto modo, le esistenze di degenti con problematiche diverse, tra di loro e con quelle di dottori e infermieri, ricreando così un senso di comunità, dove si possono sentire vari dialetti, discussioni e aspettative cariche di fiducia.
«La chirurgia è poco visibile: in effetti la chirurgia d’urgenza non è un film televisivo come E.R.»: questo è quanto affermerà un professore, poco prima di andare in pensione, in #3 (Maestri e allievi). Inutile qui aggiungere poi come il lato documentaristico di Trapianti lo allontani da tanti medical drama dove i dottori possono lavorare tutto il giorno, flirtare con un collega e, allo stesso tempo, rimanere sempre lindi e puliti (escludendo, in questa tipologia, giusto l’infermiera protagonista di Nurse Jackie, una serie, però, con intenti dissacratori e con toni malinconici). Al di là di questi particolari aspetti – sinceramente neanche troppo importanti – bisogna però sottolineare come in questo prodotto italiano si porti avanti un discorso sul corpo che va di pari passo con la riproposizione di interiorità più o meno offese. Tutto all’insegna di un forte ma delicato senso della Vita e della rinascita che ha dell’incredibile.


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