Americana – Nurse Jackie. Terapia d’urto
Le persone con le più grandi capacità di fare del bene sono anche quelle con le più grandi capacità per fare del male. [Jackie, Nurse Jackie, Pilot]
La Showtime ci ha preso gusto e ci riprova. Dopo il meritato successo ottenuto con Dexter e dopo aver ridato linfa vitale a David Duchovny facendogli vestire un personaggio tutt’altro che dimenticabile in Californication, il canale statunitense crea un altro (anti)eroe dei nostri giorni. Nurse Jackie, da noi in onda su SkyUno, replica l’attenzione e la curiosità nei confronti di protagonisti lontani da immaginari edulcorati e rassicuranti che fanno, al contrario, tutt’uno con esistenze affogate negli stravizi meno edificanti.
Ma se Dexter, serial killer con un codice etico, ha aperto trionfalmente il “filone”, meno bene si può dire di questa Nurse Jackie. La serie, con protagonista la Edie Falco dei Soprano, ripete le coordinate di fondo di quella con Michael C. Hall, trasferendole su una protagonista femminile al centro di un medical drama. Seppur questo nuovo prodotto non presenti affatto gli eccessi splatter e la generale atmosfera noir di Dexter, l’infermiera Jackie, probabilmente, penserebbe di avere molte cose in comune con uno come Dexter. Entrambi sono infatti portatori (in)sani di una doppia vita, lavorano in ambienti professionali in cui la disciplina e una rigida divisione di ruoli e poteri la fanno da padrone e, soprattutto, sono ambigui fino al midollo.
Jackie, infermiera sveglia e capace dell’All Saints’ Hospital, ha in realtà una fortissima dipendenza dai farmaci, che il farmacista dell’ospedale, suo segreto amante, le procura. Ogni sera (o mattino), finito il turno lavorativo sempre assai impegnativo, la nostra tutt’altro che perfetta eroina torna a casa dove ad aspettarla trova un marito innamorato e due figlie. A completare e complicare il quadro del personaggio è una condotta personale e professionale decisamente discutibile, fatta di bugie, raggiri e azioni illegali. Ma, esattamente come Dexter, se la nostra infermiera scarica nel gabinetto l’orecchio di un paziente, firma documenti per conto di altri, si rompe deliberatamente e volontariamente la falange di una mano, lo fa sempre in nome - se non di un’onestà che non riconosce come importante - nel segno di ciò ella pensa sia “giusto” fare per sé e per gli altri. Attenta ai bisogni e alla salute dei pazienti, sensibile alle richieste dei malati, la nostra Jackie sembrerebbe una sorta di "Robin Hood della corsia" che ruba ai ricchi, malvagi e idioti per dare ai deboli, disperati e sfortunati. A muoverla sembrerebbero sempre sentimenti nobili, verso la famiglia e i pazienti, mentre le modalità con cui arriva ai suoi scopi sono contrassegnate da una continua sfida nei confronti del buon senso e della legalità. Jackie, come Dexter, ha imparato a dettarsi le regole secondo cui vivere, nascondendo segreti inconfessabili, come quello della sua tossicodipendenza. Invece di ritrovarsi ai margini di una società che facilmente potrebbe rifiutarla, la nostra protagonista è la vera colonna del pronto soccorso dell’ospedale, con le responsabilità che questo necessariamente comporta. Circondata da personaggi che è difficile prendere sul serio (un giovane dottore completamente idiota, una tirocinante svampita e una dottoressa che ha dimenticato la nobiltà della sua professione) Jackie riesce, a discapito del senso di verosimiglianza delle vicende, a ricoprire i ruoli di capo-infermiera, medico e assistente sociale con grande successo.
La serie - che annovera registi come Steve Buscemi e il veterano Allen Coulter, in questo momento anche al cinema con Remember me – pur essendo ambientata in un ospedale, lascia sullo sfondo i casi clinici, mai realmente al centro dello sviluppo drammaturgico, per concentrarsi sulle azioni della sua protagonista. Siamo lontanissimi allora dalla variante investigativa del medical drama di Dr. House - con cui Jackie comunque condivide la tossicodipendenza e certe modalità di procedere – come pure dall’apripista E.R., magari rivisto e corretto dalle derive sentimentali di un Grey’s Anatomy. E, in effetti, va riconosciuto a Nursie Jackie il merito di aver attinto con una sufficiente dose di originalità ad un genere piuttosto abusato, che ha a che fare con temi e situazioni facilmente scivolose. Eppure la serie non convince fino in fondo, orfana di una cura fotografica a cui la Showtime ci aveva abituati con Dexter e soprattutto monca di un vero appeal nei confronti proprio della protagonista. Anche quando l’attenzione è ancora più evidentemente concentrata sugli affari privati di Jackie, come accade in particolare nell’ultima parte della prima stagione e all’inizio della seconda (cominciata negli Stati Uniti in questi giorni), sembra manchino le basi per potersi davvero affezionare a questo personaggio, schierarsi con lei o contro di lei. L’ambiguità della protagonista, che forse diminuisce progressivamente man mano che il racconto va avanti, finisce per essere un labile punto di forza, poichè non è corredata da un forte e completo disegno drammaturgico che la sostenga e la rilanci. E forse le uniche scene davvero degne di interesse sono quelle gemelle del pilot e del finale di stagione, in cui la protagonista stesa a terra e in pieno stato allucinatorio, citando T. S. Elliot, appare irreparabilmente soggiogata dal bisogno di anestetizzarsi di fronte all’insopportabile gravosità della vita.