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Venezia 77 - The whaler boy

Pubblicato il 3 settembre 2020 da Matteo Galli

VOTO:

Venezia 77 - The whaler boy

Tutti conoscono la cortina di ferro, molti meno la cortina di ghiaccio, corrispondente allo stretto di Bering (gli 82 km fra la Russia e Alaska), a causa delle temperature gelide e del ghiaccio, appunto, percorribile solo un paio di mesi l’anno. Nel bel mezzo dello stretto si trovano due isole, le isole Diomede, una la Piccola Diomede è americana, l’altra, la Grande Diomede è russa che fra di loro distano un paio di chilometri, su quel confine passa la linea del cambiamento di data oltreché appunto il confine fra Russia e USA, all’epoca della Guerra Fredda niente di più letterale di quell’espressione simbolica. In territorio russo, nella Čukotka, alle estreme propaggini orientali della Siberia, vive Leshka, un ragazzo silenzioso e un po’ imbranato che di mestiere fa il mozzo nelle baleniere, da qui il titolo The whaler boy.
Leshka vive, contemporaneamente, fuori dal mondo ma a un passo dal mondo che è l’America, di cui si è costruito un autentico mito, soprattutto sotto forma di video chat erotiche, con internet che in quel posto sperduto il più delle volte s’impalla rendendo l’eccitazione provocata sul ragazzo non priva di tratti grotteschi. Leshka riifuta anche un contatto con una donna reale perché non vuole tradire la ragazza della videochat, per la quale ha letteralmente perso la testa e con cui stabilisce una “comunicazione” monodirezionale, servendosi di brandelli di inglese imparati all’uopo. E una volta visto che il sito ha sede sociale a Detroit, si convince che l’unico modo per dichiararsi a HolySweet 999, questo il nickname della ragazza, è prendere una barca e partire alla volta dell’Alaska, distante solo a un tiro di schioppo, a quel punto il più sarà fatto, dall’Alaska a Detroit basta andare sempre dritto, come gli dirà una guardia costiera. E Leshka parte. Il viaggio sarà poco più di un girotondo nelle isole Diomede. Tornato a casa, fra mille peripezie e disincanti, forse, ma solo forse, Leshka imparerà a vedere il mondo con uno sguardo un po’ più maturo.

Pur reggendosi su poco o nulla, il film risponde perfettamente alla classicissima storia del "coming of age". Il paesaggio della tundra e del mare, le gigantesche balene, cacciate, colpite, smembrate col mare che si colora di sangue (con un frequente ricorso scenografico alla "plongée"), e il buffissimo personaggio del nonno con cui convive, convinto a più riprese di poter presagire e quasi pre-determinare l’ora della propria morte (fra un presagio e l’altro, in una scena un po’ surreale, balla) contribuiscono a rendere il film decisamente gradevole, a dimostrazione che anche in un posto lontano dal mondo come la Čukotka. ansie e ambizioni di un ragazzo sono sempre le stesse. Il regista Philipp Yuryev, trentenne di origine moscovita, è arrivato fin qua e senza farsi troppo trascinare dall’esotismo del paesaggio e dei suoi abitanti e ha saputo costruire un film tutto sommato più che dignitoso con uno stile narrativo e anche formale molto pulito.


CAST & CREDITS

(Kitoboy); Regia: Philipp Yuryev; sceneggiatura: Philipp Yuryev; fotografia: Mikhail Kuresevich; montaggio: Karolina Maciejewska, Alexander Krylov, Philipp Yuryev ; interpreti: Vladimir Onokhov (Leshka), Kristina Asmus (ragazza americana), Vladimir Lyubimtsev (Kolyan), Nikolay Tatato (nonno), Arieh Worthalter (guardia di frontiera), Maria Chuprinskaya (ragazza bionda); produzione:Rock Films; origine: Russia, Polonia, Belgio 2020; durata: 94’


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