Un amore sconosciuto

Il 27 febbraio 2018 ha debuttato al Teatro Lo Spazio di Roma l’ultimo lavoro di Monia Manzo, Un Amore Sconosciuto dedicato alla figura di Alda Merini.
Per prima cosa dobbiamo dire che non è facile parlare di poesia a teatro, ci sono i Recital in cui i versi sono i protagonisti ma, crediamo, che coglierne il valore e il senso con una cascata di suoni, senza poter indugiare, ritornare, riassaporare, non sia il massimo: il testo scritto è imprescindibile e, si potrebbe aggiungere, il tempo giusto.
Poi ci sono i poeti. Tralasciamo chi ci insegna che, dopo Pasolini, di Poeti non ne sono più nati, al più scrittori; è vero che essere poeta è essere speciale, è saper leggere il mondo con altri occhi e, a chi è predisposto, insegnare a leggere il mondo con altro. Quindi compito arduo rappresentare un poeta. Facile indulgere nel biografismo, magari convenzionale, colpevolmente parziale con pretese totalizzanti a cui una certa letteratura scolastica ci ha abituato (che indigestione di ostriche, fanciullini, inetti e pessimismi più o meno cosmici abbiamo fatto!). E allora quale colpevole parzialità toccherebbe alla Merini? Lo sappiamo tutti e non sapete quanto sia pesante qui anche solo accennare: il manicomio.
Monia Manzo ha cercato un’altra strada e la fortuna e l’intuito, l’hanno portata allo “sconosciuto”. La fortuna perché questo lavoro è implicitamente debitore ad appunti, carte, ricordi di Giacinto Spagnoletti, amico di Alda e Michele, che ne curò anche la raccolta “Terra santa”, giunte a Monia attraverso il figlio Giovanni che di Monia è maestro e amico. Intuito perché chi è persona di Teatro cerca e coltiva istintivamente lo sguardo laterale, la prospettiva insolita, l’intravista piuttosto che la vista; in sintesi lo sconosciuto.
E lo sconosciuto è un amore, Michele Pierri, un poeta, una seconda opportunità, dopo un primo matrimonio da cui nascono le quattro figlie, e la perdita, per malattia, del primo marito.
Lo spettacolo indaga questo: come ci si risveglia da un lutto, dalla sofferenza della prigionia, dalla depressione. È possibile allora? Sì, è possibile, lei l’ha fatto: e lo sconosciuto diventa universale; non la triste storia dell’internamento, della malattia, dell’ingiustizia di una scienza che non aveva ancora trovato il suo sviluppo umano, ma la storia del risveglio nell’amore e nella poesia.
Con Monia, poco più che trentenne, altri giovani: Amen che con lei cura la regia, Fabio Calascibetta alle scene, Isabella Nasrin Sadry ai costumi, Carlo Sabelli, luci e suono, e l’imprescindibile video editing di Francesco Imundi.
