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Un "Muro" da Rebibbia

Pubblicato il 21 gennaio 2013 da Maria Vittoria Solomita


Un "Muro" da Rebibbia

Roma, Rebibbia. Angelo Longoni ha scritto molti drammi, tantissime storie d’amore, delle pièce d’impegno sociale. Ora ha pensato ad un’operetta rock ispirata alle musiche dei Pink Floyd. Una svolta, decisamente.

La forza evocativa delle musiche e dei testi della band inglese è nota a tutti: nella drammaturgia di Longoni, entrano in modo prepotente a costruire il senso e l’andamento del racconto, d’amore e di vergogna. L’archetipo delle storie: un Lui incontra una Lei in modo -quasi- casuale, scatta il colpo di fulmine (al 50%, Lui è cotto subito), i due si innamorano, si sposano, vivono. Lui si preoccupa di creare il nido nel miglior modo possibile. Ma Lui è così gentile e buono da finire vittima dei suoi superiori: firma e prende mazzette al posto di altri, e al posto loro finisce in galera. Questa in sintesi la sinossi.
Le musiche dei tre lavori, “Animals”, “The wall” e “The division bell” (in ordine di uscita e non di importanza ricoperta a teatro), sono montate in modo alternato allo sviluppo delle scene sul palco. I Sound Eclipse si esibiscono dal vivo, separati dagli attori da una cortina bianca, ancora un “muro”, su cui vengono proiettate immagini in movimento.
Il continuo rimando alla simbologia del muro è così martellante che non può sfuggire. Se poi, per l’anteprima unica romana, si sceglie la Casa Circondariale di Rebibbia, con detenuti in platea, il messaggio risulta pleonastico.

A più di trent’anni dall’uscita di “The Wall”, i muri che la gente si costruisce intorno sono probabilmente aumentati e i loro effetti risultano più evidenti. Ci si isola volutamente, si alzano barricate e si aspetta il domani, evitando diligentemente il contatto con gli altri, quasi temendo un contagio, o un confronto devastante. E questo è placido. Spesso i muri li costruiamo dentro di noi, e ci limitano, causando grosse sofferenze. È chiaro anche questo. Forse non è così chiara l’esigenza di portare una storia simile in carcere.

Quella riportata da Longoni è la coppia stereotipata che, collezionando muri, non vuole innamorarsi prima, non vuole sposarsi poi, si gela al pensiero del mutuo, poi crea il proprio nido, ma per addobbarlo al meglio cerca metodi sbrigativi.
Così, il Lui della coppia (il bello-simpatico-dolce-premuroso-perfetto-forsetroppo ingegnere Ettore Bassi) resta invischiato in una faccenda di mazzette e gli si aprono le porte della galera. Di qui altri muri, ma tra Lui e Lei (ottima voce Eleonora Ivone, grande resistenza agli sforzi, in scena fa footing per metà del tempo, ma qualcuno le dica che non sa camminare sui tacchi).
Il senso di colpa, lo scontro con la società, il perdono, il riscatto e l’accettazione sono rievocati dagli attori in un’ambientazione realistica, mentre i testi dello storico gruppo britannico vengono elaborati e restituiti live in forma poetica, con l’aggiunta di immagini proiettate sulla band.

L’idea è interessante, d’altronde Longoni predilige l’analisi dei sentimenti e delle dinamiche interpersonali. Questa volta il bisturi è rivolto verso l’interno: si studia l’essere umano a contatto con se stesso. “Non aver commesso un reato non basta per non sentirsi in colpa”, ammette feroce il Lui della pièce. “Il vero carcere è quello che ho nel cuore”. Osservazioni giustissime e comprensibili. Certo, a farle in galera, quella vera, qualche fischio parte. E qualche lacrima scende, se non per la storia in sé, per un commento tecnico alle osservazioni acide di una Ivone-moglie abbandonata, sull’ora d’aria e la visita dei partenti. Dalla terza fila, un detenuto l’ha pronunciato a denti stretti il suo “Maledetti!”.


(Il muro); Regia: Angelo Longoni; Drammaturgia: Angelo Longoni; Musiche dal vivo: SoundEclipse: Stefano Cacace, vocals Marco Zanni, guitars Emanuele Puzzilli, drums Emiliano Zanni, keys & synt Andrea Agates, bass; Interpreti: Ettore Bassi, Eleonora Ivone; Teatri e date di cartellone: Casa Circondariale Rebibbia 18 gennaio; Teatro Lo Spazio, dal 22 gennaio al 10 febbraio; Stazione Birra, 1 marzo.


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