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Venezia 77 - Und Morgen die ganze Welt

Pubblicato il 12 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Und Morgen die ganze Welt

Un altro motivo ricorrente del Festival sembra essere quello dei cosiddetti “anni di piombo”, ma spesso e volentieri il termine viene usato a sproposito – basti pensare a Padrenostro che con i "bleierne Zeit" di Margarethe von Trotta ha in comune forse soltanto l’intenzione (e di ciò si potrebbe comunque discutere).

A oggi, un’altra pellicola rischia di subire la stessa superficiale categorizzazione: si tratta di Und Morgen die ganze Welt , il nuovo film di Julia von Heinz già appositamente inserito nella categoria “terrorismo e affini”. Fin dalla prima sequenza, tuttavia, ci rendiamo conto della lontananza che intercorre fra l’entropia tipicamente ipermoderna messa in scena dalla regista tedesca e l’universo in cui si muovono le più note Juliane e Marianne. In poche parole, sarebbe meglio lasciare ogni cosa al suo posto: la pellicola che vede come protagonisti i giovanissimi Luisa, Alfa e Lenor (nell’ordine, Mala Emde, Noah Saavendra e Tonio Schneider) vuole essere una testimonianza di una generazione che con l’epoca del pre Muro ha ormai ben poco in comune. L’impressione è quella di trovarsi davanti ad uno scenario quantomeno europeo, gli avvenimenti narrati sono probabilmente gli stessi in tutto il mondo.

Il film non si limita a tradurre visivamente un determinato ideale politico, ma indaga le radici dell’estremismo contemporaneo, sovrapponendo sfera collettiva e sfera individuale. L’incipit pare quasi scontato: Luisa è una ragazza di buona famiglia, studia giurisprudenza e vive ancora a casa dei suoi genitori. La sua vita si svolge nel perfetto anonimato, almeno fino a quando l’amica Batte (Luisa-Céline Gaffron) non la introduce nella sezione locale del gruppo Antifa. Trasferitasi in questa sorta di comune nella quale azione politica e "divertissement" sembrano mescolarsi con facilità impressionante, la nostra ingenua studentessa cerca in ogni modo di rendersi utile. Dietro alla sua totale e immediata abnegazione al partito, non si capisce però cosa si nasconda di preciso: desiderio di approvazione? Ricerca di uno scopo? Solitudine? Abbandono? Progressiva disillusione nei confronti delle istituzioni ufficiali? Noia? Ciò che spinge Luisa fuori dal proprio recinto è un senso di vuoto, di torpore da cui fuggire prima che sia troppo tardi.

Fra le quinte di una Germania apparentemente pacifica ed equilibrata si nascondono forze incontrollabili, perché generate dallo stesso nulla in cui la protagonista si ritrova imprigionata: i genitori non la considerano, l’università è diventata un teatrino insopportabile, e perfino i suoi compagni si muovono come pedine sulla scacchiera di qualcun altro. Nei centri sociali si coltivano piante, si balla, si chiacchiera, ci si allena e, nel tempo libero, si organizzano anche manifestazioni con tanto di striscioni e uova colorate! Una volta smaltito l’entusiasmo iniziale, tutto ciò a Luisa non basta più: le sue azioni diventeranno sempre più feroci, la sua routine sempre più disordinata e confusa. Perfino i compagni Alfa e Lenor, i membri più vecchi del gruppo, finiscono per spaventarsi di fronte ad una rabbia generatasi chissà dove. Sul grande schermo come in sala non è chiara l’origine di una tale frustrazione, così estranea e al contempo familiare. Il cinema tedesco contemporaneo pullula di esempi di questo genere – dalla Tiger girl di Jakob Lass alla Kriegerin di David Wnendt (sorta di "doppelgänger" antitetico della nostra Luisa), la nozione di violenza sembra sostituire quella di identità personale, riempiendo gli spazi lasciati dolorosamente aperti da altri.

Tanto da una parte quanto dall’altra della barricata, ciò che domina l’intera narrazione è il caos: lo si capisce dalla goliardica indifferenza con cui i neonazisti intonano cori imbarazzanti e orrendi per ogni persona di buon senso, ma anche e soprattutto dalla puerile agitazione con cui Luisa e i suoi amici pretendono di combattere attraverso piccole rappresaglie e atti vandalici. L’incontro con Dietmar (Andreas Lust), ex dissidente di almeno vent’anni più vecchio, cambierà la vita della giovane ribelle mostrandole, attraverso i ricordi della sua giovinezza, le coordinate su cui si fonda il pericoloso concetto di ordine. Il paradigma della tanto esaltata libertà assoluta, alla base di un presente ideologicamente e politicamente informe, appare sempre più ambiguo e sembra portare il mondo verso soluzioni drastiche. In fondo, l’epoca di Luisa è molto più simile a quella dei suoi (bis)nonni che non a quella dei suoi genitori.


CAST & CREDITS

(Und morgen die ganze Welt); Regia: Julia von Heinz; sceneggiatura: Julia von Heinz, John Quester; fotografia: Daniela Knapp; montaggio: Georg Söring; interpreti: Mala Emde (Luisa), Noah Saavedra (Alfa), Tonio Schneider (Lenor), Luisa-Céline Gaffron (Batte), Andreas Lust (Dietmar); produzione: Seven Elephants (Fabian Gasmia, Julia von Heinz), Kings & Queens Filmproduktion (John Quester), Haïku Films (Thomas Jaeger, Antoine Delahousse), SWR, WDR, BR, ARTE; origine: Germania, Francia 2019; durata: 111’


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