Universi sensibili - Padiglioni delle meraviglie

ENTE TEATRALE ITALIANO - TEATRI NELLA RETE
FORMIA 11-20 APRILE 2008
Li guardi di lontano e, per un momento che è appena un battito di ciglia, un guizzo di delusione ti prende alla gola e ti fa rallentare il passo. Deve essere questa l’impressione che ti fa sempre il Capolavoro quando ha in sé il germe dell’inaspettato: ti lascia incerto perché non hai ancora gli strumenti per leggerlo e quelli vecchi che ti sei portato dietro ti sembrano di colpo spuntati, troppo poco taglienti per entrare nel cuore dalla Cosa. Così, per necessità, con le lenti del pregiudizio che ti mettono tutto fuori fuoco, sei costretto a strizzare gli occhi anche per avere una visione d’insieme:
Sette tensostrutture stanno lì, al fondo del cammino, profilate contro il mare oltre la ringhiera e, a guardarle con l’occhio di chi non sa ancora bene cosa aspettarsi, ti sembrano povere cose, residuati di un’idea di cui avevi letto o di cui ti avevano parlato in termini diversi.
Ti avevano detto che era teatro. Anzi Teatro. Te lo avevano gridato dai volantini, te lo avevano cantato e suonato con parate e maschere e un po’ ci avevi preparato la bocca, un po’ ci avevi sperato perché di teatro (anzi Teatro) se ne vede sempre meno in giro. Però qui il Teatro non sai ancora dove cercarlo e la cosa un po’ ti intriga, un po’ ti infastidisce. L’artista ha ottenuto quello che cercava: ti ha destabilizzato, ti ha tolto il terreno sotto i piedi e la tua bussola, che non sa più indicare il nord, gira a vuoto inabile a darti una direzione.
Poi il passo si rifà deciso e le distanze si accorciano. Non solo quelle fisiche, ma anche quelle della mente. Perché quei palazzotti in ferro e plastica che ti si parano davanti, in fondo ti ricordano qualcosa, hanno un sapore di già noto che è insieme abituale e lontano. Perché i colori pallidi che ricoprono i teli cerati delle sette tensostrutture sembrano quelli del tendone di un circo. Sono padiglioni animati, quelli che hai davanti. E (cosa che disorienta ancora) non si curano più di tanto di nascondere allo sguardo i materiali con cui sono realizzati. Quel ferro e quella plastica li vedi bene, li puoi toccare. Il trucco ed il colore, coi nomi fiabeschi (Padiglione degli insetti, Padiglione del Popolo Ba) si sono sovrapposti al quotidiano e alla prosa, quasi fossero un velo, senza avere la presunzione di cancellarli.
Pensi anche ai parchi giochi barocchi e alle bizzarrie del seicento e poi ai tendoni di giardino dell’ottocento che del circo erano la versione borghese più aggraziata e colta. E il teatro te lo collochi lì: nell’interstizio tra l’artista di strada che regala la sua arte al pubblico per una moneta in cambio di un unguento e l’idea tutta intellettuale d’uno spettacolo post moderno che guarda al passato e si sente fine di una lunga tradizione.
Così il critico e lo studioso, che non dovrebbero entrare qua dentro, si pacificano con la prima impressione che era stata troppo incerta e la riportano nel solco del già noto. Puoi entrare nel primo padiglione e, in fondo, un po’ dell’articolo è già scritto nella tua testa. Se non altro il cappelletto introduttivo con un po’ di bla bla su un’idea di spettacolo che è scenografia e interattività. Un paragrafetto vero quanto ovvio che, però, ma ancora non lo sai, non esaurisce ancora un’esperienza come Universi sensibili. Del resto nel primo padiglione ci stai entrando appena adesso e quello che hai pensato è solo il mestiere che cerca di portarsi avanti un po’ del lavoro. Come il cantante d’opera del settecento che si portava le arie nel baule e le rispolverava per tirar giù un applauso alla prima occasione.
Poi ti ritrovi davanti pezzetti di legno chiusi in bacheche, pezzi di fil di ferro, lampadine che accendi con pulsantoni di plastica colorata (qualcuno all’entrata t’aveva detto che erano lucciole), telefoni antiquati col disco che ti vien voglia di comporci subito un numero antico, di quelli che non fai più da tempo. La fantasia del regista ti inventa storie e nomi per ogni cosa. Puoi leggerli come vuoi.
Ti vuole complice l’autore, parte dello spettacolo. Lui ti mette davanti i punti di una commedia non scritta e non recitata e sta solo a te l’unirli in un disegno che è tuo. Di suo lui ci mette l’ironia dell’invenzione, la nostalgia devi portartela da casa.
E cominci a pensare al bambino chiuso in te, al fanciullino pascoliano
con cui tutti si riempiono la bocca e con cui anche tu hai già bello e scritto il secondo paragrafo del tuo articolo.
Pensi che non ci sia fruitore più indicato per uno spettacolo di questo tipo del bambino. Solo lui ci si diverte ancora a far finta che i rametti colti per strada siano insetti con una storia alle spalle. E te li guardi i piccoli spettatori che sono entrati con te. Ne senti le risatine un po’ saccenti di chi vede che l’adulto è troppo grande per partecipare al gioco. Poi però pensi che l’ingresso è aperto a tutti. Gratuito per di più in questa occasione più unica che rara per cui bisogna ringraziare l’ETI e il Collettivo Bertolt Brecht di Formia.
E qui ti accorgi che coi bambini ci sono anche i genitori che li accompagnano con condiscendenza, ma sotto sotto pensano alla cena da preparare. Ci sono i vecchietti che un po’ ricordano quando una trottola si costruiva col guscio di una noce, un po’ pensano alle soap in TV. Ci sono i giovani che si protendono sui cuscini per carpirne i suoni di folletti che russano coll’espressione di chi si sente in dovere di far vedere agli altri che il fanciullino pascoliano ce l’hanno dentro ancora vivo. E ci sono gli adolescenti che ridacchiano rumorosamente coll’espressione di chi la sa già lunga e queste cose artistiche qua, questi quadri astratti e tridimensionali non valgono il nuovo e più costoso telefonino che hanno appena visto in vetrina. Ridono dello spettacolo senza accorgersi di dare loro stessi spettacolo.
Ed è qui che ti accorgi che la storia del fanciullino è solo l’ennesima categoria nella quale avresti voluto incasellare Universi sensibili. Perché quello che hai davanti, di stand in stand, non è uno spettacolo per bambini, né per intellettuali che magnificano l’infanzia come luogo dello spirito, ma un piccolo miracolo di senso. I padiglioni sono dei veri e propri Re Mida dello spettacolo: tutto quello che toccano lo trasformano in Teatro. Anche quello spiffero di luce che passa per un attimo per una tenda appena appena aperta.
E così quel bambino che parla con le lucciole o quel ragazzetto maleducato che ti scavalca pensando sia un suo diritto, o quello che si crede più intelligente, ti diventano parte dello spettacolo. Lo sei anche tu stesso, se finalmente non pensi più all’articolo che devi scrivere alla fine e ti guardi da fuori, come un alieno che ha letto troppo Pirandello.
E questo miracolo non passa invano se hai l’animo di accorgerti che s’è appena consumato. Ci vuole appena un pizzico di coraggio.
(Universi sensibili - Padiglioni delle meravigle); di Antonio Catalano.
Le foto dell’articolo sono tratte dal sito ufficiale di Universi sensibili
