Venezia 71 - Intervista a Ippolita Di Majo, sceneggiatrice de "Il giovane favoloso"
Condividendo una intimità familiare con il regista, in quanto marito e moglie, puoi dirmi quando e come è nato il primo bocciolo dell’idea di un film su Giacomo Leopardi?
Dal quando abbiamo cominciato a lavorare sui testi per la messa in scena delle Operette morali a teatro, a Mario è cominciata a frullare per la testa l’idea di una trasposizione cinematografica della vita di Leopardi. Piano piano l’idea ha preso corpo. Ma ci sono voluti anni, direi dal 2011. Inabissarsi nel mondo straordinario delle Lettere, dello Zibaldone ci ha affascinato a tal punto che poi abbiamo detto: "continuiamo".
Qual è stato il tuo apporto?
Non so sentire il mio apporto, sono fatta così, non lo vedo. Anche se poi, quando me lo dicono "in questo film ci sei molto", sono contenta e penso: "forse è vero".
Che metodo di scrittura vi siete dati?
Ci siamo distribuiti i compiti, soprattutto io mi sono occupata della raccolta di materiale. Sulla scrittura effettiva della sceneggiatura abbiamo inizialmente scritto separatamente, scrivendo parti, abbozzando scene e poi confrontandole assieme e aggiustando, togliendo o aggiungendo. Mario è un grande dialoghista. Ma è stato un lungo processo di stratificazione. Abbiamo lavorato per un buon periodo di tempo a casa, beati, concentrati. Lo ricordiamo come un periodo di benessere e tranquillità, con una quotidianità scandita esclusivamente dalla full immersion nella scrittura. Ci accade raramente di passare mesi fermi nello stesso posto e questo è stato inconsueto e bello.
Sul piano dell’emotività più scoperto, mi sento di dire di poter avere spinto io in questo senso, in questa direzione.
Le differenze tra Noi credevamo e Il giovane favoloso?
In verità i due film fanno parte di un unico grande progetto, una riflessione sull’ottocento, che è partito nel Marzo 2011, nel progetto di Torino sulla lingua, sulla nazione.
Mario dice: "su Leopardi potrei fare molti altri film". Come se raccontare una storia ambientata in un altro secolo fosse una sorta di discesa nella fantascienza, in luoghi dove puoi immaginare altro dal contemporaneo, non sempre attraente.
Che film si può immaginare di girare dopo questo?
Un film leggero, facile e felice. Chissà...
Tu sei una storica dell’arte, quanto ha influito il tuo occhio visivo e la tua preparazione sulla scrittura e sulla realizzazione di questo film?
Sulla realizzazione, come in Noi credevamo, sulla tenuta iconografica e iconografica del film. Ho familiarità con i testi antichi, per via del mio mestiere. Sul set stavo al monitor controllavo e verificavo che fosse visivamente giusto e attinente all’idea di Mario.
Per Noi credevamo avevamo raggruppato materiali pittorici in, da noi definita, Scatola nera: immagini dipinti quadri, luci, illuminazione a olio. Fotograficamente abbiamo usato la stessa squadra e si è lavorato tutti insieme nella stessa linea.
Che significato ha, per te, girare un film in costume oggi?
Probabilmente nasce dal desiderio di analisi di un paese ammalato alla ricerca di una causa, come fosse un percorso a ritroso per riconoscere il trauma e provare a guarirlo.
Da dove viene il titolo Il giovane favoloso?
Da un racconto di Annamaria Ortese in cui racconta un pellegrinaggio alla tomba di Leopardi che è sepolto a Napoli, nello stesso cimitero di Virgilio. Ad un certo punto lo descrive come "il giovane favoloso".
Come ti sembra lo stato del cinema italiano?
Gode di ottima salute, l’industria è problematica per via dell’economia... Dal punto di vista di artisti autori e persone piene di talento ce ne sono eccome. Ultimamente ho amato Le meraviglie di Alice Rohrwacher e In grazia di Dio di Edoardo Winspeare.
Da quando sei presente nella vita di Mario, ha cominciato a fare film molto diversi dai precedenti, ha preso una svolta a tratti inaspettata. Che ci dici in proposito?
Direi che sia una cosa quasi casuale, involontaria, probabilmente da parte di una fascinazione dentro un rapporto d’amore.
Hai sempre scritto? Come ti sei trovata a intraprendere una scrittura per il cinema?
Il film d’epoca mi ha aiutato, scrivere mi piace tantissimo, ma su una traccia è un’altra cosa, il passaggio è più fluido. L’idea di scrivere anche oltre che con mio marito c’è, mi piacerebbe misurarmi con la scrittura cinematografica, ci vogliono i progetti giusti.
Tua sorella è regista (Nina Di Majo). Non avete mai pensato di lavorare insieme?
Lavorare assieme non è mai capitato, è molto presente nella mia vita, ci amiamo intensamente ma non è successo. Potrebbe succedere nel futuro e mi piacerebbe.
Ne avete mai parlato?
No, ma io ci ho pensato proprio in questi giorni.
Che emozione è essere a Venezia in concorso?
Siamo emozionati e contenti, Venezia è sempre un posto difficile per il cinema italiano. Il film esce in sala il 16 ottobre, distribuito da 01. E la sceneggiatura sarà pubblicata da Mondadori negli stessi giorni.
Quanto hai partecipato alla scelta del cast?
Abbiamo riflettuto tanto assieme, ci sono stati dei provini su idee precise di Mario di cui discute.
Avevamo pensato a Elio Germano anche durante la scrittura e, mano mano, l’Idea iniziale si è confermata. È la prima volta che lavorano insieme. È un attore speciale: ha un massimo di passione e approfondimento cerebrale ma poi quando recita le cose diventano carne e sangue. Restituisce le sue riflessioni intellettuali a livello di emozioni.
Questo è un film difficile?
L’argomento non è banale, la storia di un ragazzo, ribelle, diverso, con talenti straordinari. Ha le potenzialità per arrivare anche nei ragazzi. E poi penso che possa essere recepito a più livelli.
Le parole sono gocciolate dai testi, alla fine è una lingua mescolata, un po’ difficile, che viene soprattutto da Le lettere quindi un parlato di Leopardi, più complicata nella lettura e meno nell’ascolto. Quando andavamo in scena con lo spettacolo delle Operette morali a Firenze il teatro era pieno di ragazzi che percepiva con facilità la lingua. Ridevano. Un giorno su un muro fuori del teatro La Pergola abbiamo trovato un murales con scritto "viva Leopardi".
Speriamo che valga ancora quell’evviva.