Venezia 72 - Beast of no nation - Concorso
Ci sono guerre invisibili, di cui si conosce a mala pena l’esatta ubicazione geografica, conflitti che si è ormai scelto di ignorare, con quel cinismo civile che ci rende immuni da qualsiasi coinvolgimento, anche semplicemente emotivo. Sono guerre di cui conosciamo atroci dettagli, la brutalità della pulizia etnica, la ferocia degli stupri, la crudeltà dei soldati bambino. Panorami simili eppure spesso lontanissimi che lacerano il pianeta in molti suoi angoli e che Cary Joji Fukunaga, regista reso famoso dalla serie tv True Detective, ha deciso di raccontare in Beast of no Nation. La difficile esistenza di Agu, giovanissimo soldato in un non-luogo africano, si fa infatti rappresentazione di un mondo che, volenti o nolenti, scegliamo di non vedere.
Per raccontare una storia così, prefiggendosi comunque lo scopo di non scioccare lo spettatore, bisogna avere la sagacia di mostrare senza mostrare, di scivolare nel didascalico senza infastidire, di descrivere la violenza con quel pizzico di ruffiana pudicizia che aggrada e soddisfa il pubblico. Si può così far vedere la guerra, l’atroce quotidianità dei soldati (bambini ma non solo), la terrificante differenza fra le loro esistenze e le vite normali, mantenendo però (quasi sempre) la peggiore brutalità fuori campo. La regia saggia e coinvolgente regia di Cary Joji Fukunaga mantiene tutta la pellicola in questo delicato equilibrio, relegando fuori dai confini del visibile tutto ciò che potrebbe superare la soglia di sopportazione dello spettatore. Così facendo più che sulle tremende atrocità subite e commesse, ci si concentra sulla parabola del giovanissimo Agu, interpretato da un formidabile ragazzino di nome Abraham Attah, sui suoi pensieri, sulle sue preghiere, sul suo straziante diventare, ingiustamente, adulto.
Tratto dall’omonimo racconto Uzodinma Iweala, che prende a sua volta il nome da un album dell’artista musicale noto come Fela, il film mantiene intatte atmosfere, ambientazioni e caratteristiche del libro. Proprio come nella narrazione dello scrittore americo-nigeriano la regione in cui si svolge il difficile percorso di Agu è infatti una zona volutamente non dichiarata dell’Africa Nord-Occidentale, comunque facilmente identificabile nella Nigeria. Una scelta questa che, pur collocando le vicende in una cruda e plausibile realtà, trasforma al tempo stesso l’esistenza del giovane protagonista in un paradigma universale. Gli elementi distintivi della cultura delle tribù e delle fazioni si fondono infatti in un crogiolo informe, in cui sciamani, predicatori, preti cristiani, riti ancestrali e regole militaresche, finisco per fare da sfondo alle atrocità della guerra, vero unico credo dei giovani soldati. Come in un destino segnato a cui neanche un dio può forse più sottrarre, le vite di Agu e dei suoi improvvisati commilitoni, finiscono così per essere dedicate al conflitto; un conflitto che, scena dopo scena, sequenza dopo sequenza, perde però ogni ragione, ogni scopo ideale, ogni apparente motivazione. In una guerra senza fazioni e senza valori, si combatte solo perché si è nati per farlo: “Morire è l’unico modo per smettere di combattere”.
(Beast of no nation); Regia: Cary Joji Fukunaga; sceneggiatura: Cary Joji Fukunaga, da un racconto di Uzodinma Iweala; fotografia: Cary Joji Fukunaga; montaggio: Pete Beaudreau, Mikkel E.G. Nielsen ; interpreti: Idris Elba, Ama K. Abebrese, Abraham Attah; produzione: Red Crown Productions, Participant Media, Come What May Productions, New Balloon; origine: USA, 2015; durata: 133’