Venezia 72 - Jia (Famiglia) - Settimana della Critica
Il film cinese è bellissimo. La storia di una famiglia dilatata in più di quattro ore e mezzo. Due anziani genitori vivono con la figlia maggiore e il nipote. La casa è modesta. La donna cucina benissimo. Sei portate a pasto. Tutti quelli che entrano nella casa, dai fidanzati della figlia, agli amici, usufruiscono di queste sue prelibatezze. Il marito sta sempre seduto in poltrona davanti alla televisione, accetta il cibo che gli viene portato, pone domande ficcanti ai potenziali corteggiatori, va spesso alla toilette.
Dopo un’ora di film i due coniugi partono in viaggio a trovare il figlio maschio maggiore. L’uomo è affermato nella carriera, ha una moglie, ha una figlia in età scolare. Nonostante una vita casalinga strutturata, all’arrivo della nonna, la donna abituata a occuparsi degli altri, prende in gestione la casa in ogni maniera. Lava i panni del figlio, della cognata, della nipotina. Accompagnala la bambina a scuola e la va a riprendere. Cucina sei pietanze prelibate, a pranzo e a cena. Il nonno invece è scostante, fa delle soste prolungate al bagno, come viene notato a turno dai parenti, ha la testa dura, a volte risponde male, ha le sue opinioni e le mantiene. Con la moglie però è sempre gentile, premuroso, un marito attento.
Questo film sta agli antipodi del cinema italiano: non succede altro che mangiare, cucinare, parlare, lavarsi. In tempi reali. Ogni ricetta è cucinata in ogni passaggio, l’igiene dentale praticata alla perfezione, la partita a carte svolta in tutte le mani necessarie ad una vittoria o sconfitta. Nessuna ragazza è mai incinta né qualcuno viene licenziato o litiga furiosamente. È narrato lo scorrere della vita. Dritto e lineare, con qualche svolta, ma piano.
Quadri eterni, scene composte da uniche inquadrature, piani lunghissimi in cui non si mette a fuoco quale sia il centro dell’immagine. Per più della prima ora la regia non compie un movimento di macchina e quando, finalmente, si muove lo fa attraverso minime carrellate panoramiche laterali (verso il finale, eclatanti allo sguardo, due brevi dolly a salire verso il cielo). Il pellegrinaggio familiare della coppia di anziani prosegue in visita al terzogenito, il figlio più ribelle, intorno ai trent’anni, sposato con una fanciulla allegra che cucina con troppo sale. Anche qui la Madre prende il comando della magione, mettendo in ordine, organizzando la cucina con pensili e utensili, riempendo il frigo di cibi freschi pronti ad essere elaborati nel wok dalla sua mano sapiente. Si giocano partite a carte nel parco, viene chiesto perché la coppia giovane non ha ancora avuto figli, emergono conflitti e segreti, rimproveri e perdoni. Tutto sottovoce, rispettosamente, senza toccarsi. Una notte la Madre va in cucina a prendere dell’acqua, si odono dei gemiti amorosi di cui lei non da traccia di accorgersi. L’amore valica tutto, sta sopra ogni cosa, si posa come farfalla odorosa sugli oggetti, sul rubinetto dello scarico della lavatrice posto in silenzio dal Padre, che parla poco ma fa molto. Un unico scarno monologo pronunciato dalla vecchia ci porta in un flashback della giovinezza del loro incontro, l’università, la piccola casa di mattoni costruita con le loro mani. Musica quasi zero, un finale sorprendente.
La trama è piccola, vera, esplicita nella sua semplicità, eppure si segue con leggerezza nelle pieghe dei sentimenti, della fotografia perfetta per la sala e inadatta ad uno schermo televisivo (non è presente neppure un primo piano), il tempo passa in fretta come dice l’anziana: "il tempo è tutto quello che ho". Candido e profondo.
(Jia); Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Liu Shumin; interpreti: Deng Shoufang (Deng, la madre), Liu Lijie (Liu, il padre), Liu Xiaomin (Xiaomin), Jiang Jiangsheng (Jiangsheng), Chen Erya (Pingping), Huang Liqin (Liqin), Liao Zepeng (Pengpeng), Liu Xujun (Xujun); produzione: Shen Lijiang (Secular Films); origine: Australia, Cina, 2015; durata: 280’