Venezia 72 - Looking for Grace - Concorso
Dritte, rettilinee corrono le strade nel deserto australiano. Contorte, intricate, complesse sono invece le traiettorie delle esistenze di chi le percorre, segnate da un destino ineluttabile e fatale. Il destino e il deserto sono gli elementi cardine di Looking for Grace, primo lungometraggio scritto e diretto da Sue Brooks, road movie atipico e frammentato. Viaggiando lungo queste lingue di asfalto, in un’atmosfera surreale e rarefatta, si incontrano infatti le vite di Grace, adolescente in fuga più per tedio che per necessità, e della sua famiglia. Un mix agitato da personaggi strampalati in equilibrio fra lacrime e sorrisi.
Fuori dalle mura di casa, lontani dalle barriere delle città, in quell’enorme distesa che è il deserto australiano non si piò che sentirsi indifesi. Chiunque tu sia, qualunque vita tu viva protetto dallo scudo della modernità, una volta uscito al di fuori dell’accogliente tepore metropolitano non sarai più lo stesso. Ogni bugia, ogni menzogna, ogni dubbio lacerante o presunta certezza verrà spazzato via dal vento che sferza, lento, le sabbie roventi. È la stessa Sue Brooks, chiacchierando con Radha Mitchell e Odessa Young, madre e figlia protagoniste del film, ad ammetterlo. Quegli spazi sterminati, quel senso di assoluta debolezza ed impotenza, incidono nell’animo delle persone, rivelando lati oscuri della personalità. Anche le vite più semplici, le quotidianità più banali celano segreti che nessuno vorrebbe rendere pubblici; la noia di una stanca casalinga, le bugie di padre fedifrago, i sogni di un adolescente, le speranze (quasi infrante) di un anziano investigatore. Basta una piccola scintilla, un incidente di percorso, un episodio fortuito, per portare allo scoperto, esposta all’implacabile deserto, la realtà tenuta con tanta forza nascosta. È il destino, con la suo potere inesorabile e schiacciante, a compiere il suo corso. Il destino che, come ricorda sempre Sue Brooks, è il vero motore del film e delle nostre vite. “A volte ci crediamo immortali” ammette Odessa Young, ripensando forse alla fuga di Grace, al litigio con la sua amica, all’incontro con il giovane James, alla corsa nella sabbia inseguita dalla madre. A volte, assuefatti al nostro quieto vivere, ci sentiamo al sicuro, certi che niente e nessuno metterà in luce la nostra parte più intima, più segreta, più debole, sottoponendola alla forza del deserto.
Con uno sguardo leggero, che si allarga sulle distese sabbiose e si chiude negli angusti angoli delle case, Sue Brooks costruisce un puzzle di piccoli personaggi, punti di vista di una storia semplice. Frammentando e dilatando il racconto la regista australiana amplifica la forza della narrazione, rallentandone al tempo stesso il ritmo, come per preparare, psicologicamente, lo spettatore. Pezzo dopo pezzo, scena dopo scena, il pubblico ricostruisce così quanto accaduto, nella sua lineare banalità, fino all’ingresso in scena, dirompente, del vero grande protagonista: il destino. Senza mai scadere nel patetico né indugiare in giudizi Looking for Grace si mantiene in un gradevole equilibrio, con momenti di surreale ironia e qualche sequenza di grande impatto emotivo.
(Looking for Grace); Regia e sceneggiatura: Sue Brooks; fotografia: Katie Milwright; interpreti: Richard Roxburgh, Radha Mitchell, Odessa Young; produzione: Palace Films; origine: Australia, 2015; durata: 100’