Venezia 72 - Mountain - Orizzonti
Gerusalemme. Citta sacra. Incontro delle tre grandi religioni monoteiste. Monte degli ulivi, luogo sacro nella cultura ebraica come luogo di resurrezione. Un’abitazione scavata i pietra ai margini del cimitero. Una famiglia ortodossa. Una moglie devota, un marito rabbino, quattro figli tra i tre e i sette anni.
Tzvia (Shani Klein), la moglie, è molto sola: di giorno cucina, pulisce, si annoia, osserva i funerali, siede sulla tomba di una poetessa che ama, parla con la poca gente che passa. Nel pomeriggio tornano i bambini da scuola, lei si occupa amorevolmente di loro, li nutre, gli fa fare i compiti. A volte la sera aspetta inutilmente il ritorno del marito, va sulle tombe al buio davanti ad una Gerusalemme piena di lucine come un albero di Natale e lì, fuma. È una donna che si sente giudicata: dalla famiglia, dalla società, da se stessa. È più di quello che fa, desidera più di quello che ha. Non le basta la presenza minima del marito nella gestione della casa e dei figli, non le basta pensare a loro trascurando se stessa, anela a qualcosa di più,di meglio, senza sapere cosa. La religione le impone di non sentirsi così, le altre donne con cui le capita di confrontarsi sembrano soddisfatte di quei riti, di quei doveri e a Tzvia sembra di impazzire. Le parole restano sospese: con il marito, con lo scavafosse palestinese con cui non dovrebbe neppure parlare, con le altre mogli così diverse da lei.
Una notte in una delle sue perlustrazioni sulle tombe per trovare un angolino dove fumare sente un rumore, un ansimo, qualcosa di anomalo. Cautamente si approssima e scopre due che si accoppiano. Scappa. Ma l’indomani ritorna. E scopre un giro di prostituzione.
Si innesca uno strano gioco che flirta con la perversione, con il pericolo, con la mancanza di amore. Opera prima della giovane regista esordiente Yaelle Kayam il film segue un percorso di conoscenza di sé e di turbamento, insolito in una donna appartenente ad una fede così chiusa.
Film essenziale, che volutamente dice poco in maniera esplicita. Il finale, ma tenuto ambiguo, che potrebbe ribaltare tutte le carte in tavola, è forte e spiazzante. Decisamente non un lieto fine.
(Ha’har); Regia e sceneggiatura: Yaelle Kayam; fotografia: Itay Marom; montaggio: Or Ben David; musica: Ophir Leibovitch; interpreti: Shani Klein, Avshalom Pollak, Haitham Ibrahem Omari; produzione: Windelov Lassen ApS, July August Productions; origine: Danimarca, Israele 2015; durata: 83’