Venezia 72 - Tharlo - Orizzonti
Una discesa agli inferi tibetana. Storia di una purezza violata. Inizio travolgente: nel centro dell’immagine un uomo con cappello declama come una poesia, parola per parola, a macchinetta, un discorso di Mao Zedong del 1975. L’uomo si chiama Tharlo, è un pastore di circa quarant’anni (non si ricorda esattamente quanti, nessuno glielo dice mai) che non ha mia tagliato i capelli in vita sua. Riceve immediatamente i complimenti per la memoria impressionante da parte del poliziotto che gli consiglia vivamente, quasi lo costringe, a fare la carta di identità. "Vai immediatamente al villaggio a fare la foto". E da lì parte tutto.
Piani lunghissimi, eterni, interminabili. Macchina fissa in campo lungo. Paesaggio Himalayano insolito, mai spudorato, necessario, fotografato in bianco e nero, a contrasto, di una bellezza aspra.
La treccia, per cui Tharlo è riconoscibile, viene apprezzata e lodata, sotto il cappello, da chiunque lo incontri. La fotografa del villaggio ha molti clienti, Tharlo deve aspettare. Stanno facendosi fotografare per ricordo una coppia di sposi novelli: dietro di loro un assistente cambia i fondali, Pechino piazza Tiennammen, Hong Kong, New York (qui la coppia viene abbigliata alla veste occidentale e Tharlo gli presta il suo capretto che allatta al biberon). Quando è il turno del pastore, la fotografa gli dice che si deve lavare i capelli, così è troppo disordinato. Di fronte c’è un centro dove qualcuno glieli laverà. La bella parrucchiera ammaliatrice gli massaggia la testa per minuti che sembrano non finire mai. Lui le compita il conto delle pecore che ha: 375, di cui 243 bianche, 132 nere, solo 298 hanno le corna, le altre 77 no, se le vendesse guadagnerebbe 160.000 yen, ma solo 100 sono sue. Gli occhi della ragazza si accendono.
"Non va bene che una ragazza tibetana abbia i capelli corti". Lei ribatte che ora è alla moda così, lui non lo sa perché vive isolato. Gli propone il karaoke. Tharlo non sa neppure cosa sia. Vanno, bevono, fumano. "Non va bene che una ragazza tibetana fumi". Lei canta, lui non è capace ma lei insiste tanto che lui prova a cantare l’unico canto tibetano d’amore che conosce perché lo canta alle pecore. Ad un attacco di tosse Tharlo dice che gli passa solo con la grappa, lei manda il cameriere a prenderne e Tharlo supplisce al suo imbarazzo con una bottiglia intera. La mattina dopo si sveglia dolorante nel negozio di lei. Lei si fa ardita e gli propone di andare via loro due, lontani: Lhasa, poi Pechino, poi Hong Kong. "Dove vorresti andare più lontano?" E lui aggiunge New York perché ha visto il giorno prima il fondale nello studio fotografico. Poi però prende e se ne torna sulle montagne. Riprende la sua vita quotidiana ma il germe della tentazione ha preso posto nel suo cuore e nella sua capanna continua a pensare alla sua Eva tibetana, a bere, a distrarsi. Una notte in cui è stordito dall’alcol muoiono molte pecore mangiate dai lupi, compreso il suo capretto. Nella penultima scena ritorna alla polizia e, quando su richiesta prova ad esibirsi nella cantilena iniziale, non conosce più alla perfezione il discorso di Mao. Finale negativo, purtroppo inevitabile.
(Tharlo); Regia: Tseden Pema; interpreti: Shidé Nyima ; origine: Cina, Tibet, 2016; durata: 123’