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11:14

Pubblicato il 18 agosto 2004 da Alessandro Izzi


11:14

Curioso come il cinema così detto di genere si stia gradualmente appropriando delle ricerche linguistiche e strutturali di quello che fino a qualche tempo fa era considerato cinema d’autore o, addirittura, cinema sperimentale. Il caso di 21 grammi di Inarritu, in questo senso, era non solo il tentativo assai coraggioso di riscrivere una storia fondamentalmente molto nota reinquadrandola nello spazio di una cronologia scomposta e dai connotati quasi cubisti, ma anche il coraggioso sforzo di proporre questo esperimento linguistico non nelle nicchie del classico cinema d’essai, ma nei sempre più asfittici orizzonti della grande distribuzione. Probabilmente questa nuova strategia distributiva dipende essenzialmente dal bisogno sempre più forte di riempire quei buchi che la grande produzione americana non riesce più a tenere celati. Certo è che il pubblico, colonizzato com’è dal linguaggio dei blockbusters, di fronte a proposte così inusuali, non può che restare sconcertato con conseguente e prevedibile basso riscontro al botteghino dei film programmati. E ciò vale non tanto per il caso di Inarritu, che giunge alla sua opera seconda con la patente di un autore che si è ormai affermato e che, per questo, ha già dalla sua una precisa fascia di pubblico, quanto piuttosto per quelle opere, per via della loro atipicità, devono essere incanalate in modelli distributivi che non gli competono davvero. L’arrivo di Ore 11:14 - Destino fatale (l’atroce sottotitolo è solo, ovviamente, dell’edizione italiana) va salutato quindi come l’ultimo capitolo di un tentativo di ridisegnare le coordinate di un genere (il thriller in questo caso) ricorrendo ad un meccanismo drammaturgico che, in parte e necessariamente, ne sovverte la logica dall’interno. Distribuire, quindi, un film come questo, indirizzandolo al target adolescenziale da arena estiva, è, quindi, darsi una vera e propria zappa sui piedi perché è facile prevedere, da parte del pubblico (specie italiano), un rifiuto quasi totale dei suoi contenuti e dei suoi modi narrativi. Ma quali sono questi contenuti? E più ancora quali sono i modelli narratologici messi in atto al suo interno? Se partiamo dal principio che gran parte della suspence costruita all’interno di un thriller deriva dalla compresenza, nello stesso tempo, di situazioni destinate a collidere in un evento catartico che lo spettatore teme e attende al tempo stesso, allora è da dire che Ore 11:14 rispetta, almeno in parte, lo statuto basilare del genere. Nello spazio breve della proiezione, infatti, abbiamo accumulate una serie di episodi, apparentemente scollegati, che confluiscono tutti in quell’evento fondamentale che avviene appunto nell’orario che costituisce poi anche il titolo del film. Ecco, allora, un ragazzo in stato di ebbrezza che crede di investire un uomo sfigurato mentre, nello stesso momento, due cassieri decidono come utilizzare l’incasso del drugstore dove lavorano. Altrove un uomo cerca di coprire nascondere il cadavere di un ragazzo forse ucciso dalla figlia e un gruppo di teppistelli di quartiere si diverte a far danni in giro per le strade deserte. Ma queste sequenze, invece di essere impaginate, come sarebbe lecito aspettarsi, secondo un naturale montaggio alternato, vengono invece trattate come unità autonome ed in sé conchiuse presentate secondo una successione la cui logica diventa comprensibile solo nel momento in cui ci viene rivelata la sequenza finale. In questo modo la logica del whodonit di hitchockiana memoria (chi ha fatto cosa) viene profondamente rispettata, ma lo spettatore, che è del tutto ignaro di quali siano esattamente gli esiti delle varie azioni messe in scena, non riesce a trarre un senso davvero definibile da quello che vede e si trova immerso in domande senza immediata risposta (cosa ha fatto chi?). In effetti, a voler essere precisi, la logica del thriller prevederebbe che i vari personaggi contribuiscano, con le loro azioni, al compimento di quello che lo spettatore riconosce come evento fondamentale del racconto. In Ore 11:14, invece, ogni azione ha un suo significato assoluto e necessario, ma è, al tempo stesso, interesistente con tutte le altre. I destini dei singoli personaggi sono ugualmente importanti per l’autore e l’evento finale, per quanto risolutivo ai fini del racconto (e per il pubblico che lo esperisce) non è anche realmente conclusivo per i personaggi messi in scena (e come nella vita vera). L’impressione è, anzi, che il regista sarebbe potuto andare ancora avanti a raccontare le sue storie, ma che non lo faccia perché i limiti del racconto filmico sono stati ormai saturati. Di più: essi sono stati letteralmente forzati perché lo spettatore, se davvero vuole trarre un significato da quello che ha visto è obbligato ad andare oltre il film stesso, al di fuori della sua cronologia capricciosa. Il senso ultimo dell’operazione, infatti, si palesa solo quando il film si chiude; la comprensione dello spettatore si accende con l’accendersi delle luci in sala ee egli è costretto a ritornare alla vita vera portandosi dietro un pezzo di film. Ma, se il senso ultimo del film emerge solo alla fine, il senso di ogni singolo personaggio, di ogni singolo segmento narrativo sembra quasi essere immanente alle inquadrature che lo spitano. Un risultato, quest’ultimo, impensabile senza l’intervento di un cast risplendente (in un film, invece, notturno e cupo, splendidamente fotografato) che annovera divi out come Hilary Swank ed Hanry Thomas e nuove promesse come Colin Hanks. Tra impennate di umorismo nero prende corpo, insomma, un film che sembra nascere dall’incrocio tra America oggi di Altman e Magnolia di Anderson. Un La congiura degli innocenti (l’unico film che possa davvero essere accostato a questa autentica sorpresa) venato di dolente esistenzialismo di fine millennio. Superbi i titoli di testa quanto atroce la locandina italiana.

(11:14); regia: Greg Marcks; sceneggiatura: Greg Marcks; fotografia: Shane Hurlbut; montaggio: Dan Lebental, Richard Nord; musica: Clint Mansell; interpreti: Hilary Swank, Patrick Swayze, Barbara Hershey, Rachael Leight Cook, Henry Thomas, Colin Hanks, Ben Foster; produzione: Beau Flynn, John Morrissey; distribuzione: Nexo; origine: Usa/Canada, 2003

[agosto 2004]

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