37 Seconds - Panorama

Solo a un passo dalla fine del film di esordio di Hikari (pseudonimo, nom de plume, o piuttosto nom de caméra di Mitsuyo Miyazaki, regista giapponese) si capisce la ragione del titolo: 37 seconds. La protagonista Yuma (interpretata, al termine di un defatigante casting, dalla bravissima Mei Kayama) deve il proprio handicap, una paresi cerebrale, al fatto che al momento di nascere per 37 secondi non ha respirato. E ciò deriverebbe anche dalla circostanza che, come lo spettatore e soprattutto la protagonista capirà solo al termine del film, c’era qualcun altro a contenderle la nascita. Questa scoperta è solo il punto di arrivo di un lento, tortuoso, al contempo doloroso e gaio processo di maturazione e acquisizione della protagonista, che fra mille difficoltà decide di emanciparsi dalla tutela/sfruttamento delle due principali persone con cui a che fare: da un lato la madre che, facendosi il vuoto intorno, della costante vigilanza iperprotettiva nei confronti della figlia ormai ventitreenne ha fatto la propria ragione di vita, un fattore identitario, fino a renderla in tutto e per tutto da lei dipendente, lasciandola in uno stato di minorità e infantilizzandola oltre il necessario; dall’altro la sua datrice di lavoro Sayaka, un’astutissima oca giuliva, divenuta una celebrità come disegnatrice di fumetti per ragazzine, nonché seguitissima blogger e influencer, la quale deve tutta la sua fama alla creatività della sua più giovane e sfortunata collaboratrice opportunamente tenuta a distanza, dietro le quinte - la fama di Sayaka avrebbe altrimenti a patirne. Yuma si stufa allora e si mette in proprio, decidendo con commovente candore di dedicarsi a disegnare manga di contenuto pornografico anche lasciandosi ispirare da prodotti consimili online e ricevendo dalla titolare di un’apposita casa editrice aperti elogi sulle proprie qualità artistiche ma al tempo stesso l’invito a prender maggiore dimestichezza con la materia trattata, vista la sua conclamata inesperienza sul campo. Insomma: si faccia le ossa e poi torni. E’ qui che ha inizio la divertente parte centrale del film con Yuma in cerca di esperienze della più varia natura, fra le quali anche quelle consigliate dall’editrice, finalmente fortunata nell’incontrare persone appartenenti al démi-monde della capitale giapponese che si rivelano prive di pregiudizi, individui portatori di umanità e capaci di aiutarla ad affrontare le più svariate situazioni. A raccontare la trama sembra di trovarsi di fronte a un’implausibile corte dei miracoli, ma non è così, le vicende sono invece assolutamente persuasive, così come convincenti risultano le reazioni allibite di chi dallo “sfruttamento” - più o meno amoroso - di Yuma aveva fin qui tratto profitto e che non riesce a capacitarsi di questa ribellione, risoluta ma sorridente. Con alle spalle qualche cortometraggio e anche un paio di videogiochi, Hikari conosce molto bene l’arte del racconto, anche e soprattutto attraverso le immagini. Le frequenti inquadrature di Tokyo sottolineano nella loro freddezza e nella loro frenesia l’ulteriore difficoltà del percorso, anche squisitamente pratico, di emancipazione di Yuma, rendendolo, per certi aspetti, quasi eroico. Pur priva di patetismo e anche di (auto)-commiserazione, la parte finale, con un breve ma importantissimo excursus in Thailandia, è semplicemente commovente nella sua tenerezza.
(37 Seconds); Regia: HIKARI; sceneggiatura:HIKARI; fotografia: Stephen Blahut, Tomoo Ezaki; montaggio: Thomas A. Krueger; interpreti: Mei Kayama (Yuma Takada), Misuzu Kanno (Kyoko Takada), Shunsuke Daitō, (Toshiya), Makiko Watanabe (Mai), Minori Hagiwara (Sayaka); produzione: knockonwood, Tokyo, HIKARI films, Los Angelse origine: Giappone 2019; durata: 115’.
